"I miei giorni da infermiera nell’unità speciale"

Il racconto di Giovanna Limonta, operatore Usca: "Oltre 350 contagiati da sentire ogni giorno, la paura di aver dimenticato qualcuno"

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Un acronimo, Usca, dietro al quale ci sono volti e cuori grandi, di chi ogni giorno è in contatto diretto coi contagiati Covid. Sono le ’Unità speciali di continuità assistenziale’, équipe formate da un medico e un infermiere alle quali l’Asl ha affidato il compito di seguire i pazienti positivi nei propri domicili. "Sono infermiera professionale e dal 2005 lavoro nell’assistenza domiciliare. Poi nell’aprile scorso Asl ha proposto l’Usca: mi sono confrontata in famiglia e ho accettato. E’ il mio quotidiano contributo a questo dramma che sta vivendo tutto il mondo", racconta Giovanna Limonta, infermiera di una delle due équipe Usca attive in Valdelsa.

"La giornata inizia alle 8 e finisce alle 20. Sono turni di 12 ore, ma se non hai finito la sera capita di rimanere anche oltre. Il ritmo è altissimo: la paura è di aver lasciato qualcuno indietro. E non te lo puoi permettere", racconta Giovanna. Inizia così il viaggio nella giornata tipo di un operatore Usca. "Abito a Casole d’Elsa e tutte le mattine vado al presidio Asl di Colle dove è la nostra base. Deve esserci sempre qualcuno, con l’altra équipe ci alterniamo, fra presenza in sede e uscite per le visite a domicilio. Il lavoro inizia dall’elenco dei nuovi positivi, che devono essere tutti contattati: chiediamo come stanno, come sta la famiglia e poi si fissa il tampone di controllo a dieci giorni di distanza. In caso ci siano sintomi, si va a visitare a domicilio. Con i numeri di oggi non riusciamo a contattare tutti ogni giorno, allora vengono sentiti i sintomatici, cui chiediamo la temperatura, la pressione, se c’è qualche problematica, respiratoria o altro, tosse o raffreddore".

Un lavoro che richiede precisione, concentrazione, attenzione da parte degli operatori ma che impiega anche tanto tempo: "A differenza della prima fase Covid – prosegue l’infermiera - quando in Valdelsa c’era solo una équipe Usca, ora ce sono due, ma abbiamo da coprire un territorio molto vasto e soprattutto dai 40-50 positivi di aprile oggi ne abbiamo oltre 350 e sentire tutti gli ‘isolati’ ogni giorno non è possibile".

Poi ci sono le visite a domicilio: "All’inizio quando dovevi entrare in una casa c’era tensione – racconta Giovanna -. Poi impari: ci si veste con tutte le protezioni fuori dalla casa, in dieci minuti ed entri. I gesti e le operazioni sono sempre le stesse. Se stai attento sai di non dover avere paura. Quando entri ‘scafandrato’ e ci sono bambini, si spaventano. Allora per alleggerire la situazione dici che sei un extraterrestre. Poi si instaura un rapporto, che è rassicurante e che continuerà nei giorni a seguire, anche a distanza: gli anziani, chi è solo, attendono la tua telefonata. Un’altra differenza rispetto alla prima fase è che nelle case ora trovi intere famiglie contagiate e tanti giovani: è difficile mantenere le distanze, isolarsi in casa". Sono giornate di 12 ore di lavoro, interminabili: "La mia pausa – conclude Giovanna - è a casa, la sera, a Casole fra gli olivi. E’ splendido, ti senti in pace. Stressata? No, tranquilla, stanca e contenta di avercela fatta".

Paola Tomassoni