"Così la Mens Sana ci pagava in nero"

Due ex dipendenti della società fallita ricostruiscono in aula la consegna delle buste con i soldi. I conti nella chiavetta Usb

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di Laura Valdesi

SIENA

"Ho visto i contanti dentro la busta. Ricordo che era di colore marrone. Olga Finetti (segretaria generale della Mens Sana basket fallita nel 2014, ndr) mi chiedeva di scrivere i nomi sulle buste con i soldi perché avevo una bella calligrafia". Lungo il racconto di una ex dipendente della Società biancoverde che parla dei pagamenti in nero che venivano erogati su indicazione dell’ex gemeral manager Ferdinando Minucci. Presente anche ieri in aula dove è stato messo l’ennesimo tassello nel processo che ricostruisce il crac della Mens Sana. Un affresco di un’epoca in cui la città era ‘regina’ in ogni settore, dallo sport alla cultura, alla finanza. E che adesso sembra lontanissima.

A parlare in aula dei pagamenti in nero, "fuori busta", è stato però per primo l’uomo che dal 2002 al 2014 era segretario di Minucci e che lavorava nella società. Il pm Niccolò Ludovici gli chiede di ricostruire. "Avevo una busta paga – chiarisce davanti al collegio presieduto da Ottavio Mosti – e ricevevo poi denaro extra. Gli ultimi anni erano 500 euro al mese". Racconta che vedeva Nicola Lombardini (socio della Essedue promotion, ndr) che quasi con cadenza mensile arrivava. Si chiudevano nella stanza con Olga (Finetti, ndr). Dopo che andava via ci veniva consegnato il fuori busta. A volte il pomeriggio, a volte il giorno dopo", dice il testimone. A cui vengono chiesti chiarimenti sulle buste con il denaro portate per pagare gli affittuari delle case dove stavano i giocatori, per esempio. La procura vuole delucidazioni anche su un pensionato che era un po’ il factotum, secondo l’ex segretario, e aiutava anche a consegnare i biglietti omaggio per le partite. "Li autorizzava Minucci", dice.

PIù lungo e dettagliato il racconto di una ex dipendente che spiega di essere entrata part time nel 2004. "Poi venni assunta a tempo pieno. In busta paga ogni mese all’inizio prendevo poco più di mille euro. Ma siccome lavoravamo fino a tardi, la domenica, dopo un po’ mi furono date 250-300 euro circa extra che salirono a 700 nell’ultimo periodo". Il pm Ludovici pone poi l’accento su un altro aspetto. "Lei ha dichiarato che quando riaccese il computer dopo la perquisizione della Finanza alcune mail erano state cancellate". C’era stata una fuga di notizie – "ma io di questo non so niente" risponde la testimone in aula –, era stato chiamato un tecnico per ripulire pc e server. E ancora: le chiavette usb. "Erano due, il contenuto di una di esse identico all’altro. Olga mi disse – racconta ancora – che Minucci le aveva detto di modificare il contenuto". Una però era stata sequestrata subito, in occasione della perquisizione all’ex gm biancoverde. Si trovava già in possesso degli investigatori.

Altro aspetto che nel corso delle udienze è tornato più volte, quello della presenza di Minucci in società dopo il blitz. "Egidio Bianchi – spiega la donna – disse in ufficio che sarebbe stato meglio se non fosse andato lì". Ma già nella prima udienza, a gennaio, il difensore di Minucci insieme a Fabio Pisillo, l’avvocato Valeria Meloni, aveva fatto risaltare "che in realtà era stato autorizzato dal liquidatore ad accedere ai locali". Il pm Siro De Flammineis che con Ludovici sostiene l’accusa, fa poi verbalizzare l’intesa con la difesa Minucci per acquisire alcuni atti del fascicolo. Poi il rinvio per l’ennesima puntata della telenovela.