Assalto alla Rocca L’affare diventa un caso politico

Pino

Di Blasio

Già dalle prime giornate di una trattativa solo annunciata, la nebbia dei numeri buttati a caso, delle piroette dei politici e degli allarmi che servono come armi contundenti contro gli avversari, ha generato una spessa cortina fumogena che nasconde l’orizzonte del Monte dei Paschi. E che si nutre di illusioni, progetti irrealizzabili, strategie impraticabili, accuse di scippi, ’sacco di Siena’, distruzioni di marchi secolari, palazzi abbattuti e eserciti di disoccupati per le strade di Siena. Proviamo a mettere qualche punto fermo: gli stress test hanno certificato che il Monte dei Paschi è in uno stato pre-fallimentare. La banca ha replicato affermando che quel voto non tiene conto dei bilanci e dell’accordo con la Fondazione sulle cause legali. Ma il giudizio resta impietoso: senza soluzione strutturale, ovvero senza un acquirente solido, la banca non avrebbe capitale sufficiente per sopravvivere. Neanche se il Tesoro (e non ha nessuna intenzione di farlo) mettesse 2 miliardi cash per sottoscrivere l’aumento. Sarebbero bruciati in poco tempo. La Banca deve ancora approvare sia l’intesa da 150 milioni di euro con la Fondazione, sia i conti semestrali, che tutti dipingono più rosei del previsto. Però la politica accusa la Fondazione di aver svenduto i 3,8 miliardi di potenziali risarcimenti, in cambio di 150 milioni decisi solo dal vertice. A dir la verità sia la deputazione generale che quella amministratrice erano state informate della trattativa. E la seconda l’ha anche deliberata. Senza l’accordo, UniCredit non avrebbe cominciato la verifica sui conti del Monte, entrando nella data room. E per quel che riguarda il fantomatico terzo polo bancario, con CariGe, Bper e Popolare di Bari, sarà davvero complicato per Salvini convincere Draghi e il Tesoro che mettere insieme tre semi-fallimenti possa generare una banca sana. Tutto è ancora da scrivere sul futuro del Monte. E’ ancora presto per le Cassandre.