"Picchiata davanti ai figlioletti. Ero incinta e mi procurò l’aborto"

Testimonianza choc di una donna nell’incidente probatorio

Un'aula di tribunale (Foto d'archivio)

Un'aula di tribunale (Foto d'archivio)

Val di Magra, 20 aprile 2018 - "Per molto tempo ho cercato di sopportare. Poi non ce l’ho più fatta a reggere al clima di terrore nel quale vivevo, maltrattata dal marito. L’ho denunciato. Non voglio fargli del male. Ma costruirmi una nuova vita insieme ai figli minori". Così ieri una donna ha raccontato la sua odissea – che ha avuto teatro in un paese ella Val di Magra – durante l’incidente probatorio apertosi che cristallizzare le prove. Fra queste- ancora però da assumere con il riscontro di certificati medici che mancano agli atti - il procurato aborto.

«Non sapevo di essere incinta. L’ho scoperto facendomi medicare al pronto soccorso dopo i calci inferti al costato da mio marito. Mi dissero che con le botte era stato procurato un aborto». Non ci crede il difensore dell’imputato, l’avvocato Franco Pasquinelli: «E’ tutta una montatura» dice nei corridoi.

La vicenda dell’asserito procurato aborto emerge a margine dell’inchiesta per maltrattamenti in famiglia che la procura ha aperto su impulso dalla donna, dopo le ultime vessazioni subite, alla fine dello scorso mese di febbraio: botte, non solo a lei – punita per la cena che tardava a materializzarsi nei piatti – ma anche del figlioletto, colpevole di aver versato un bicchiere di acqua sul divano. Le vittime ora sono sotto protezione, in una casa di accoglienza, sotto la tutela dei Servizi sociali. Il padre-padrone è stato colpito dalla misura cautelare del divieto di avvicinamento ai congiunti; off limits anche alle telefonate. La donna e il figlio più grande (comunque minore) sono stati chiamati all’incidente probatorio. Ieri l’avvio davanti al giudice Marta Perazzao. Da sentire c’è anche il minore. Per questo il gip ha nominato una consulente, chiamata a verificare la capacità del bambino di comprendere e riferire correttamente i fatti.

«La mia denuncia -ha detto ieri la donna- è arrivata dopo tante tribolazioni. Per mesi, anni ho stretto i denti i denti, ha resistito, sperando cheimio marito si ravvedesse. Ho sempre temuto che presentando una denuncia la situazione potesse precipitare, complice anche l’ancol di cui il marito, talvolta, abusava, perdendo il senno». Nella scelta di chiedere aiuto alla giustizia è stata sostenuta dai familiari e da un legale, l’avvocato Andrea Buondonno, che ha redatto la denuncia dalla quale è maturata, dopo le indagini dei carabinieri, la misura cautelare nei confronti dell’uomo. Nell’atto di accusa sono ripercorsi gli episodi, a cominciare da offese e minacce. Fra le storie ripercorso anche quelle di una ’sequestro di persona’: la donna venne chiusa a chiave in una stanza di casa, per una mezz’ora; fu liberata nell’imminenza dell’arrivo del padre e della sorella, a cui aveva chiesto aiuto. E’ emerso così il quadro di un regime familiare e di vita avvilente, terrorizzante e mortificante, sia per la donna che per i figli minori. Un quadro che ha fatto innescare il cosiddetto «protocollo rosa», col concorso delle istituzioni (giudiziarie, sanitarie e amministrative) nelle azioni di salvaguardia dell’integrità fisica e psicologica della donna e dei figli.