Protesi infetta, 7 anni di calvario. Clinica condannata a risarcire gli eredi

Pensionato sarzanese cieco e invalido per una setticemia dopo l’intervento al ginocchio

Un intervento chirurgico (foto d’archivio)

Un intervento chirurgico (foto d’archivio)

Sarzana (La Spezia), 17 aprile 2018 - Entrò in clinica per una protesi al ginocchio e cominciò un calvario durato sette anni. Ora, a distanza di cinque anni dalla sua scomparsa, il Tribunale di Lucca ha condannato la Clinica San Camillo di Forte dei Marmi a risarcire gli eredi del pensionato sarzanese. L’infezione contratta dalla protesi gli provocò una grave setticemia e la perdita totale della vista, oltre gravi sofferenze che lo seguirono per tutto il tempo che gli restò da vivere. La vicenda processuale era iniziata nel 2012 quando l’uomo, sempre seguito dagli avvocati Enrico Mari e Maurizio Cozzani dello Studio Mari Maggiani Cozzani della Spezia, aveva depositato un ricorso per accertamento tecnico preventivo che si è concluso con l’accertamento della piena responsabilità della Clinica San Camillo di Forte dei Marmi. La Clinica non volle riconoscere i risultati della consulenza e gli eredi furono costretti, dopo la sua morte, a rivolgersi al Tribunale di Lucca che ha ora pronunciato la sentenza di condanna della Casa di Cura San Camillo a risarcire gli eredi della somma di 360.000 euro.

UN VERO CALVARIO quello subito dal pensionato sarzanese, iniziato nel settembre del 2006 con un intervento di protesi al ginocchio. Per un anno l’uomo non ebbe postumi pesanti: ingravescenti e non rimediabili difficoltà di deambulazione, astenia, iperpiressia, calo ponderale. I primi sintomi dell’infezione nosocomiale periprotesica e della conseguente setticemia che continuò ad aggravarsi mentre le terapie di cura e i ricoveri ospedalieri non davano risultanti. Due anni dopo un nuovo intervento chirurgico per rimuovere la protesi infetta e posizionarne una temporanea, a sua volta rimossa l’anno successivo. Intanto la setticemia si era ulteriormente aggravata, l’infezione gli provocò la sostanziale cecità. Furono oltre sei anni di calvario, con un continuo peggioramento delle sue condizioni che arrivò a non potersi più muovere, un susseguirsi di cure e ricoveri. L’uomo morì a marzo del 2013 per cause naturali indipendenti dalle patologie legate all’intervento.

IL CTU della causa ha quantificato il danno biologico permanente corrispondente al ‘maggior danno’ a carico dell’arto inferiore, causato dal peggior risultato funzionale della protesi e dalla setticemia mai risolta, nonché dalla cecità in occhio destro causata dall’uveite settica con conseguente cecità assoluta. Al calvario personale derivante dai gravi danni alla salute, si è aggiunto poi il calvario dei tempi della giustizia che prima l’uomo poi i suoi eredi hanno dovuto subìre. Infatti malgrado la perizio medico legale che nell’ottobre 2013 attestò la responsabilità della casa di cura, il San Camillo non ha voluto transare costringendo gli eredi alla causa che si è conclusa ora con la condanna.