PECORE ELETTRICHE / Il virus della disumanità irrompe nelle carceri

LA RUBRICA - I penitenziari sono sempre più chiusi e distanti nel tentativo di limitare i contagi

Pecore elettriche

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Firenze, 22 novembre 2020 - Ci sono luoghi che interessano poco al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, fiorentino d’adozione: le carceri. Zero trasparenza sui dati dei positivi al Coronavirus, tra detenuti e agenti di polizia, tanto chissenefrega, no?, se in prigione ci si contagia o ci si ammala.

Per fortuna esistono associazioni come L’Altro diritto, nata a Firenze, e Antigone, che si preoccupano - seppur con molte difficoltà - di reperire i numeri del rischio sanitario in prigione. 

D’altronde, il Coronavirus non colpisce soltanto noialtri a piede libero. Anzi, nei luoghi chiusi il Coronavirus prospera (e cosa c’è di più chiuso, non solo allo sguardo esterno, di un posto come Sollicciano?), nell’indifferenza di quelli che un tempo facevano i paladini dello streaming, i Cinque stelle, e oggi non riescono neanche a darci i numeri giusti dei detenuti contagiati. 

Governo e amministrazione penitenziaria, da quando è iniziata l’emergenza sanitaria, non hanno brillato. Le carceri sono sempre sovraffollate e i contagi aumentano. Stando ai dati di venerdì scorso, i detenuti nelle carceri italiane sono 53.758 a fronte di una capienza regolamentare di 50.931. 

Il numero dei detenuti positivi è aumentato rispetto alla settimana precedente: 732 persone, 172 in più (anche tra il personale i contagi sono aumentati, ce ne sono 156 in più). In Toscana, ci sono 9 positivi a San Gimignano, 6 a Sollicciano, circa 25 a Livorno. «Il carcere finora ha fatto solo quel che gli riesce meglio: chiudersi, chiudere ai colloqui, chiudere alle possibilità di trattamento, inserire reati per l’introduzione o la detenzione di telefonini nelle celle», mi dice Sofia Ciuffoletti, direttrice dell’Altro diritto e garante delle persone private della libertà a San Gimignano: «Nella irrazionale, ma tanto più pervicace convinzione che rinchiudere non serva solo a correggere, come recitava Foucault, ma anche a curare (o prevenire). Così non è e sarà sempre troppo tardi per accorgersene!».

I Garanti italiani hanno scritto un appello al Parlamento nei giorni scorsi per spiegare perché «il carcere è una realtà in cui il rischio della diffusione del Covid-19 è molto alto: il fisiologico assembramento di un numero considerevole di persone in uno spazio angusto non permette, infatti, di rispettare le regole minime di distanziamento fisico e di igiene funzionali alla prevenzione del virus. La patologica situazione di sovraffollamento che caratterizza le nostre carceri contribuisce inoltre fatalmente ad accrescere il rischio di diffusione del contagio». 

Nel disinteresse totale della politica, con qualche eccezione come i Radicali, che da sempre conducono battaglie di testimonianza. Eppure è la nostra Costituzione, all’articolo 27, a dirci che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».  Il carcere deve rieducare il detenuto, anche il più feroce, non farlo ammalare. [email protected]