Violentato trenta volte in un mese dal compagno di cella. "Ma io lo amavo"

L'accusato al gip: ‘I rapporti erano consenzienti’. Ma la vittima dà tutta un'altra versione

Il carcere della Dogaia dove si sarebbero consumate le violenze su un detenuto

Il carcere della Dogaia dove si sarebbero consumate le violenze su un detenuto

Prato, 30 maggio 2017 - «Erano rapporti consenzienti». Si è giustificato così il marocchino, 44 anni, accusato di aver violentato in carcere un compagno di cella, un cinese di 36 anni, che invece ha fornito una versione completamente diversa di fronte al gip Francesco Pallini e al pm Laura Canovai. Una storia raccapricciante che sarebbe avvenuta dietro le sbarre del carcere della Dogaia dove entrambi sono detenuti per reati di violenze sessuali: il primo (marocchino) per scontare una condanna definitiva, il secondo (cinese) perché accusato dalla moglie di aver molestato la figlia minorenne. I due sono comparsi di fronte al giudice per le indagini preliminare in sede di incidente probatorio. E le versioni fornite sono diametralmente opposte. I fatti contestati sarebbe ben trenta: 30 violenze sessuali che si sarebbero consumate in un solo mese, ossia una al giorno.

I due erano compagni di cella nel settimo braccio del carcere, quello dove vengono rinchiusi i detenuti per violenze sessuali. Il marocchino si è difeso sostenendo che i rapporti sessuali avuti col cinese erano consenzienti. Per lo più sarebbero avvenuti all’ora di pranzo e di cena, quando il braccio si svuotava perché gli altri detenuti si recavano a mensa. «L’ho anche baciato», ha detto il marocchino a dimostrazione che il suo amore per il cinese, fisicamente la metà d di lui, era sincero sostenendo di essere stato anche geloso di lui.

Di tutt’altro avviso la tesi sostenuta dal cinese che, invece, ha raccontato delle violenze subite contro la sua volontà e la paura di quest’uomo molto più grande. L’uomo provava dolore durante i rapporti e piangeva per la paura nel silenzio della cella. Avrebbe, poi, trovato il coraggio di confidarsi con un agente della polizia penitenziaria e con un altro detenuto. Da quel momento è partita l’inchiesta – prima affidata al sostituto procuratore Antonio Sangermano, ora passata alla collega Canovai. L’orientale venne sottoposto alle perizie mediche che confermarono le violenze subite. La vittima fu trasferita nel carcere di Sollicciano a Firenze in regime di protezione.