Anche il lavoro diventa smart, ma non per questo è più facile

Alla scoperta della modalità che sta rivoluzionando l'occupazione nel pubblico e nel privato

Una giovane applica lo smart working da un luogo aperto al pubblico

Una giovane applica lo smart working da un luogo aperto al pubblico

 

Potremmo definirla la parola del 2020. Potrebbe essere l’unico approccio al mondo del lavoro per chi inizia il proprio percorso di inserimento, potrebbe stravolgere la conformazione delle città, potrebbe incidere sulla qualità delle relazioni all’interno della propria abitazione, potrebbe accrescere le disuguaglianze sociali. Unica cosa certa è che tutti parlano di smart working. Come sempre proviamo a fare luce su questo fenomeno che sta coinvolgendo moltissime persone: giovani e meno giovani, dipendenti pubblici, privati e anche imprenditori. 

Il ministero del lavoro e delle politiche sociali lo definisce come: “una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall'assenza di vincoli orari o spaziali e un'organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività. La definizione di smart working, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l'accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l'accordo individuale e sull'utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone)” 

Quindi non è da confondere con il telelavoro, lo smart working infatti possiamo sintetizzarlo  in una nuova forma di organizzazione del lavoro, facilitato dalla tecnologia, basato su flussi di dematerializzazione e abbandono di una logica lavorativa oraria, a favore del conseguimento del risultato.

A tutti gli effetti, un cambiamento sia nella forma e nella  modalità che negli obiettivi (e negli strumenti necessari per raggiungerli). 

Fino a febbraio del 2020 lo smart working era un fenomeno di nicchia, una tipologia di approccio al lavoro che riguardava poco più di mezzo milione di lavoratori in italia, da marzo a luglio, per le cause che tutti noi conosciamo, si stima che più di 8 milioni di persone abbiano - per scelta o per necessità -  iniziato a lavorare con l’approccio dello smart working. 

Due giovani intente allo smart working
Due giovani intente allo smart working

Tuttavia, dopo una prima fase di necessità e urgenza nell’attivare il lavoro smart ora è il tempo di capire come gestire e regolamentare l'occupazione in questa nuova normalità. Molte aziende applicheranno lo smart working anche all'indomani della conclusione di questa fase di emergenza sanitaria, la stessa cosa faranno le pubbliche amministrazioni. Le startup, protagoniste di questa rubrica, sono già proiettate in questa direzione nella gestione del proprio business. Le città avranno delle ripercussioni sia nell’erogazione dei servizi legati al trasporto pubblico che nella chiusura di esercizi commerciali nelle zone un tempo abitate da uffici. Gli smart worker dovranno riorganizzare la propria vita, gli spazi della propria abitazione (dove possibile) e il proprio approccio al lavoro provando a ricercare socialità, creatività e contaminazioni, nonostante il lavoro da casa. 

E’ indubbio che il Covid abbia accelerato un processo che stava delineandosi lentamente, lo smart working rientra appieno in questa trasformazione digitale e culturale della nostra società, che vede la tecnologia come attore principale ma che porta con sé una serie di conseguenze, criticità e opportunità. Il compito di tutti noi è quello di interpretare questi cambiamenti, indirizzarli secondo le nostre capacità e adattarsi rapidamente a scenari che muteranno rapidamente. Un compito difficile, per tutti.

Lapo Cecconi è Docente Master Digital Transformation dell'Università di Firenze e fondatore della startup Kinoa