Tasse e contributi per il popolo dello sport Società in allarme: "Questo non è un lavoro"

Cambiano le norme per le ritenute fiscali e previdenziali. "Mettono le mani in tasca alle società dilettantistiche, siamo già in ginocchio"

E’ una vera e propria insurrezione quella a cui si sta assistendo nel mondo dello sport in seguito all’approvazione da parte del governo uscente dei correttivi alla riforma del lavoro sportivo, tramite un apposito decreto legislativo. A finire sul banco degli imputati è la decisione di inserire le ritenute fiscali e previdenziali anche nei contratti dei lavoratori sportivi che finora invece sotto i 10.000 euro annui non pagavano tasse, ma non avevano nemmeno tutele previdenziali. Le nuove regole, in vigore dal prossimo primo gennaio, riconoscono un vero e proprio status di lavoratore sportivo ad allenatori, istruttori, sportivi dilettanti, e a tutti coloro che ruotano intorno agli impianti (fatta eccezione per i giocatori). Per loro, sotto ai 5.000 euro l’anno, non ci saranno né tasse, né contributi, dai 5.000 ai 15.000 euro annui si pagheranno solo i contributi previdenziali (a carico delle società sportive nella misura del 50% dell’imponibile), mentre dai 15.000 euro in su ci saranno oneri fiscali e previdenziali. Di fatto un allenatore che finora costava 500 euro netti al mese a una società, da gennaio ne costerà 750 euro.

"Prendere un provvedimento del genere significa mettere di nuovo le mani in tasca alle società dilettanti che già oggi faticano ad arrivare in fondo alla stagione", accusa il delegato provinciale del Coni, Massimo Taiti. "Il correttivo approvato è insufficiente, bisogna subito bloccare questa riforma. Si rischia di mettere fine allo sport dilettantistico. Siamo di fronte a una riforma assurda, che vede colpevoli tutti i partiti che hanno sostenuto il governo Draghi". Critici anche i dirigenti delle società sportive. "Il mondo sportivo dilettanti si è basato a lungo sul volontariato", spiega il presidente della Galcianese Andrea Andreini. "Adesso, invece, tutti chiedono un rimborso, ma parliamo sempre di un’attività che per lo più viene svolta per passione e non come se fosse un vero lavoro. Equiparare il calcio dilettanti al tradizionale mondo del lavoro non è semplicemente possibile. Questa è una brutta batosta, che per di più arriva nel momento in cui siamo tutti ad aspettare la stangata del caro bollette. Figurarsi se possiamo reggere anche il pagamento degli oneri previdenziali". D’accordo il vicepresidente del Viaccia, Gianni Esposito. "Ci stanno mettendo in ginocchio", attacca. "Non si capisce perché vogliano penalizzarci continuamente. E’ arrivato il momento di riunirsi con tutte le società pratesi per fare squadra. Dobbiamo reagire e non lasciarci sopraffare dall’amarezza". E i lavoratori sportivi cosa ne pensano? La riforma è chiaramente apprezzata, ma lascia anche delle preoccupazioni. "Molti di noi vivono lavorando nello sport", dice Simone Anticaglia, presidente del Comitato scienze motorie di Prato. "Quindi vederci riconosciuto uno specifico status non può che farci piacere. D’altro canto capiamo le preoccupazioni delle società. Diciamo che la riforma prima di entrare in vigore avrebbe dovuto trovare anche le coperture finanziarie per rendere sostenibile una simile innovazione nei contratti lavorativi sportivi". D’accordo anche Enrico Romei, consigliere comunale de Lo Sport per Prato che vive la quotidianità nelle società sportive. "Sono favorevole alle tutele verso i professionisti dello sport", conclude. "Ma serve un lavoro a monte, perché devono essere create le condizioni per rendere questo percorso sostenibile. Altrimenti questa riforma da un’opportunità può diventare un pericolo per lavoratori e società".

Stefano De Biase