Continua il nostro
percorso attraverso
i ristoranti storici della città
nell’era del coronavirus,
Uno tsunami economico
e sociale a cui Prato
tenta di reagire. Dopo Pirana,
Mag 56 e Logli è il turno
del ristorante Interludio.
di Roberto Baldi
Solare, genuino e sanguigno, pronto alla battuta con un’ironia che sa essere dolce e pungente, Stefano Bonfanti ti raggiunge nel suo Interludio, ristorante attaccato come una cozza alle mura della città, a indicarne la pratesità, testimoniata anche dal conduttore, protagonista da sempre dei mille contatti con personaggi e istituzioni cittadine.
Perché il nome Interludio?
"E’ dato dalla mia passione per la musica, che mi ha fatto arrivare fuori orario anche a questo appuntamento mattutino dopo aver ascoltato nella notte per l’ennesima volta la Traviata: ogni piatto della nostra cucina ha da essere intermezzo all’interno di una sinfonia di sapori e di odori che si richiamano a Prato e alle specialità di stagione".
Un interludio che ha subìto come altri l’intoppo coronavirus.
"Vero. Siamo destinati a pagare un pesante contributo in termini di perdite nel periodo più remunerativo dell’anno".
Il governo sta per disporre il cosiddetto "ristoro".
"Ristoro è quello che davamo ai clienti nei nostri ristoranti. Quello del governo consiste nelle 4.000 euro che dovrebbero arrivare in questo mese, dopo le 2.000 di aprile: uno sforzo apprezzabile, ma è come versare acqua in un recipiente col buco, se persiste il blocco dei pasti serali. Occorrono misure nazionali importanti, non due spiccioli che servono a soddisfare la coscienza dei governanti che tentano di tacitare la nostra rabbia di operatori che ci siamo subito adeguati a misure salate. Abbiamo bisogno di sentire vicine le istituzioni e fare un pezzo di strada insieme".
Come si esce dalla crisi?
"Arricciandosi le maniche, senza stare a recriminare su quello che poteva essere fatto e non si è fatto: i se e i ma, diceva mia nonna, sono patrimonio dei bischeri. Sono stato e sarò sempre ottimista, ma occorre riflettere e correggersi in attesa che passi il temporale".
Ci sarà un ’dopo’ a cui pensare fin da ora?
"Ci sarà, ma bisogna attivare fin da ora una politica di fidelizzazione dei clienti, di cui io conservo un archivio con tutti i dati, con qualsiasi mezzo sms, social, mail per mantenere vivo il contatto e comunicare come stiamo affrontando la crisi. Anche con i nostri dipendenti deve continuare un rapporto che non si limita alla cassa integrazione".
Il cosiddetto delivery è di aiuto nella ristorazione?
"Il servizio di consegna a domicilio, come lo si traduce in un italiano ahimè trascurato, lo pratico anch’io, ma mi lascia perplesso per le caratteristiche di una città come la nostra abituata ai ritrovi conviviali; perplesso anche per i costi eccessivi e per la perdita di qualità: ciò che viene consegnato a casa è forzatamente riduttivo rispetto a quello preparato e degustato nel proprio locale. E’ consigliabile invece pensare ad altre strategie come, ad esempio, una politica di attenzioni particolari verso i clienti abituali".
Tutto buio in questi giorni?
"No. Il maggior tempo dedicato ai nostri rifugi casalinghi ha consentito di riscoprire se stessi e di ripensare il nostro quotidiano, facendo riaffiorare antiche istanze esperienziali. Ma spero torni presto il tempo del liberi tutti per raccontare e raccontarci, per riveder le stelle del dopocena, che riempiono i campi blu del cielo e alimentano la speranza".
(4- continua)