Rogo del Macrolotto, carcere per le titolari cinesi. Ma loro non ci sono

In Cassazione condanna definitiva per le due sorelle. Ora sono in Cina

Lin Youlin, titolare di fatto della Teresa Moda (foto Sproviero/Attalmi)

Lin Youlin, titolare di fatto della Teresa Moda (foto Sproviero/Attalmi)

Prato, 7 febbraio 2018 - E’ finita. Dopo quattro anni e due mesi la Cassazione ha messo la parola fine sulla tragedia che ha scosso la città travalicando perfino i confini nazionali: il rogo alla Teresa Moda in via Toscana 63 dove persero la vita sette operai cinesi. La Corte suprema ha rigettato i ricorsi presentati dall’avvocato Gabriele Zanobini, della gestrice di fatto della confezione, Lin Youlan, 46 anni, e di sua sorella, Lin Youlin, 43 anni, che secondo l’impianto accusatorio l’aiutava a mandare avanti l’attività. Era il primo dicembre del 2013 quando i sette operai cinesi morirono nel terribile incendio divampato all’alba. I lavoratori furono colti nel sonno dalle fiamme e non ebbero il tempo di mettersi in salvo anche per la mancanza delle minime regole in materia di sicurezza e antincendio sui luoghi di lavoro.

LE IMMAGINI DEL ROGO

IL SOPRALLUOGO DELLA POLIZIA-FOTO

LE VITTIME

Gli unici a salvarsi furono la stessa Lin Youlin e suo marito, Hu Xiaping, insieme al figlio e a un altro operaio perché dormivano al piano terreno del capannone. I connazionali rimasero intrappolati dal fumo e dalle fiamme nei loculi-dormitorio realizzati in un soppalco abusivo. Non c’è stato nulla da fare nonostante l’appassionata discussione dell’avvocato Zanobini: i giudici hanno rigettato i ricorsi confermando le pene dell’Appello, ossia 8 anni e sei mesi per la titolare di fatto, Lin Youlan, e sei anni e dieci mesi per la sorella Lin Youli. Il marito di quest’ultima, Hu Xiaoping, è uscito di scena già in Appello con un’assoluzione piena. Confermate anche tutte le costituzioni di parte civile, i parenti delle vittime, l’unico sopravvissuto, i sindacati, l’Inail e il Comune di Prato che ha già ottenuto una provvisionale di 50mila euro per il danno di immagine. Le accuse sono rimaste invariate: omicidio colposo plurimo aggravato, omissione dolosa di cautele antinfortunistiche, favoreggiamento per profitto di stranieri e incendio colposo aggravato.

La sentenza è definitiva e già esecutiva, quindi per le sorelle si dovrebbero aprire le porte del carcere ma, al momento, sono in Cina. "Le ho già chiamate e sanno della sentenza – ha detto Zanobini –. In tutto hanno scontato circa dieci mesi dopo l’immediatezza del fatto". Le donne avrebbero confermato al legale l’intenzione di rientrare. "Torniamo in Italia", hanno detto al telefono. "Non so cosa decideranno – ha aggiunto Zanobini – Faranno i loro conti e, comunque, c’è sempre l’estradizione".

Si chiude così il primo capitolo della vicenda più triste della storia del distretto pratese. Un evento tragico su cui si sono incardinati due processi, quello ai gestori di fatto e quello ai proprietari italiani del capannone, i fratelli Giacomo e Massimo Pellegrini, dopo un anno di indagini certosine e a 360° svolte dal sostituto procuratore Lorenzo Gestri e dalla squadra mobile pratese. Resta l’ultimo atto: la Cassazione si dovrà esprimere sui fratelli Pellegrini a cui la corte d’Appello ha confermato la condanna riducendo la pena a quattro anni rispetto ai sei del primo grado e assolvendoli per il solo reato di incendio colposo.

Laura Natoli