Operatrici no vax sospese e senza stipendio. Il giudice: "Non devono essere reintegrate"

Le oss lavoravano in alcune rsa di Prato. Hanno fatto ricorso contro il datore di lavoro e perso. "La difesa dei più deboli va davanti a tutto"

Medici in terapia intensiva Covid in una foto d'archivio

Medici in terapia intensiva Covid in una foto d'archivio

Prato, 27 agosto 2021 - La tutela della salute pubblica, soprattutto dei più deboli, è prevalente rispetto a un contratto di lavoro. Partendo da questa convinzione il giudice del lavoro di Prato ha rigettato il ricorso di due operatrici socio sanitarie che prestavano servizio in due piccole rsa di Prato, che chiedevano di essere reintegrate. Le due donne – dipendenti del gruppo "La Cupolina" di Firenze che gestisce diverse rsa anche a Prato e Vaiano per un totale di 400 dipendenti – sono state sospese nel maggio scorso quando hanno detto categoricamente che non si sarebbero mai vaccinate contro il Covid.

"No vax" convinte ma adesso senza stipendio. Lo ha confermato perfino un giudice che ha accolto la linea scelta della direzione del gruppo di sospendere senza retribuzione le due donne in quanto non vaccinate e non intenzionate a farlo, stando a quello che hanno detto. Per il giudice "la sospensione resta in essere e senza stipendio", almeno fino a quando le condizioni non saranno cambiate, ossia le due donne si convinceranno di sottoporsi al vaccino contro il Covid. "I diritti e le libertà individuali vanno bilanciati e dimensionati – scrive il giudice di Prato nell’ordinanza – al fine di garantire un delicato equilibrio con l’interesse della collettività. Motivo per cui, come sottolinea la Corte Costituzionale, la tutela della salute implica il dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui". Le oss avendo a che fare con soggetti fragili e immunodepressi, come gli ospiti di una rsa, avrebbero potuto mettere a rischio la loro salute in quanto non vaccinate contro il Covid.

Le due operatrici hanno presentato un ricorso congiunto sostenendo che il comportamento del datore di lavoro, in questo caso La Cupolina, sarebbe stato "atipico" e che i dati sulla salute sono sensibili e quindi coperti da privacy. Ma il giudice non ha accolto la loro tesi insistendo sul fatto che "gli interessi della comunità possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti sanitari obbligatori", soprattutto quando ci si trova di fronte a "malattie infettive e contagiose la cui diffusione sia collegata a comportamenti della persona che è tenuta ad adottare condotte responsabili". Una sentenza pilota seguita da altre due analoghe del giudice del lavoro di Firenze che ha respinto la richiesta di reintegro presentata da altri due dipendenti del gruppo La Cupolina.

"Noi ci siamo comportati in maniera corretta, seguendo la legge", spiega Paolo Migliorini, amministratore delegato della Cupolina e coordinatore regionale di Arsa, l’associazione delle residenze sanitarie assistenziali. "Quando è entrato in vigore l’obbligo vaccinale per medici, infermieri e personale socio-sanitario abbiamo presentato gli elenchi dei nostri dipendenti all’Asl. A maggio è emerso che 15 operatori su 400 non avevano copertura vaccinale. In seguito hanno fatto tutti il vaccino, tranne queste quattro persone che abbiamo dovuto sospendere". Migliorini spiega che non era possibile destinarle ad altro incarico, separandole dagli anziani. "La tutela dei nostri ospiti, spesso immunodepressi e in condizioni di salute precarie, va davanti a tutto – prosegue Migliorini – Non solo: devono essere tutelati anche gli altri operatori che sono vaccinati. Con la variante Delta sappiamo che i contagi sono molto più facili, non possiamo esporre a rischi pazienti e sanitari. Oltre al green pass, infatti, manteniamo tutte le altre precauzioni come mascherine e distanziamento".