La terapia intensiva regge l’ondata Omicron. "L’80% dei casi gravi riguarda non vaccinati"

Consales, direttore del reparto di rianimazione: "Trattiamo persone con severe insufficienze respiratorie nei nostri 10 posti letto"

Guglielmo Consales è il direttore della rianimazione dell’ospedale Santo Stefano

Guglielmo Consales è il direttore della rianimazione dell’ospedale Santo Stefano

Prato, 28 gennaio 2022 - La terapia intensiva dell’ospedale Santo Stefano è sempre al limite del numero dei pazienti Covid. Ma per scelta, e soprattutto in questa quarta ondata, i posti a disposizione non hanno mai superato le 10 o 11 unità. Anche i medici del delicato reparto di anestesia e rianimazione dell’ospedale pratese, diretto dal dottor Guglielmo Consales, devono confrontarsi con un’aumento di patologie non Covid e anche di quei pazienti asintomatici ma colpiti dall’infezione, scoperta solo in occasione di un ricovero.

"Si potrebbero aprire anche altri letti: possiamo arrivare fino a 25 posti di terapia intensiva Covid. Ma ci sono anche tante altre patologie, soprattutto traumi, persone che arrivano in ospedale e hanno necessità di essere seguite come si deve. Non abbiamo mai lasciato indietro nessuno ed è bene tenere aperto un numero sufficiente di posti letto per salvaguardare le attività non Covid". Ne è convinto il dottor Consales, che è anche direttore della struttura complessa di anestesia e rianimazione dell’Asl Centro: da due anni con la sua equipe ha visto gli effetti più drammatici dell’epidemia su pazienti che con gravissime insufficienze respiratorie varcano la soglia della terapia intensiva. 

Quali sono le differenze, se ci sono, con le precedenti ondate di epidemia da Covid? "La situazione è cambiata rispetto alle precedenti ondate perché fuori c’è un maggior numero di infezioni dovute alla variante Omicron. Invece, per quanto riguarda la malattia, c’è lo stesso livello di gravità. La prognosi è sempre molto seria. La crescita delle infezioni, anche se non tutte a rischio, ha comportato un impatto serio sull’ospedale".  

Ma dalla prima alla quarta ondata c’è di mezzo la campagna vaccinale anti Covid. "Infatti: oggi chi arriva in ospedale ha sempre insufficienza respiratoria e la vera differenza con il passato è fra chi è vaccinato e chi non lo è o chi ha eseguito una vaccinazione incompleta. La maggior parte delle persone che arrivano in condizioni gravissime sono non vaccinati e sono circa l’80%".  

Secondo l’Istituto superiore di sanità i non vaccinati hanno un rischio di morte per Covid 33 volte più alto rispetto ai vaccinati con terza dos e. "La vaccinazione riduce la possibilità di infettarsi e riduce la gravità della malattia, se quest’ultima si evolve".  

Che età hanno i pazienti ricoverati in terapia intensiva Covid? "Al momento trattiamo persone di età fra i 59 e i 65 anni, ma non mancano ancora gli over 70. In terapia intensiva a Prato si accolgono anche pazienti che provengono da altri territori dell’Asl Centro. In questi giorni abbiamo principalmente pratesi".  

Al di là della gravità immediata della malattia, bisogna preoccuparsi anche della ripresa dopo che è passata la fase acuta dell’infezione. "Non sono da sottovalutare gli effetti a distanza di una malattia che se sviluppata è grave. Nel long Covid si possono riscontrare danni polmonari importanti e problemi a livello cardiaco".  

Attualmente l’ospedale deve tenere conto del fenomeno dei positivi al ’Covid per ca so’, cioè di coloro che hanno bisogno delle cure ospedaliere per altri tipi di patologie... "Nei confronti di questi pazienti dobbiamo attivare un trattamento particolare, adeguato alla situazione. Il che ha comportato un cambio nella logistica e nella collocazione di tali pazienti".