Roberta e Narciso, addio alle voci di Prato e Firenze

Se ne sono andati a distanza di pochi giorni i personaggi che raccontarono in musica le due città, da sempre vicine e lontane fra loro

Narciso Parigi e Roberta Betti

Narciso Parigi e Roberta Betti

Prato, 28 gennaio 2020 - Vicinissime per geografia, anche se spesso distanti per indole, Prato e Firenze sono accomunate in questi giorni dalla scomparsa dei personaggi che meglio le hanno narrate in musica. In rigoroso ordine di uscita dal palcoscenico: Roberta Betti e Narciso Parigi. L’una e l’altro, novantenni, vinti dagli acciacchi del corpo, ma assistiti fin quasi all’ultimo da invidiabile lucidità.

Lo chansonnier fiorentino ha accompagnato il risollevarsi di Firenze dalle tragedie della guerra e dell’alluvione, raccontandone bellezza e dolcezza, senza scadere nel melenso. L’ironia toscana lo portò ne “Le ragazze di Monticelli” a visitare, attraverso aspetto fisico e doti della giovane popolazione femminile, l’intera topografia della Firenze dimenticata: quella delle frazioni e borgate di campagna, trascurate dall’olografia ufficiale, tutta concentrata fra Uffizi e Ponte Vecchio. Piglio e talora lessico da Cecco Angiolieri su scenari alla Pratolini, nella sua licenziosità, la canzone fu e resta un affresco vitale e democratico della città.  La voce di Narciso era un invito alla spensieratezza, che spinse a tirarsi su, la Firenze piegata del novembre ‘66.

Parigi ha poi cantato ciò che Firenze più ama della propria contemporaneità: la squadra di calcio. Rendendo accettabile e identitario un lessico ricercato e demodé (“garrisca il labaro”) che, fuori da quell’inno, la corrosiva Firenze non perdonerebbe a nessuno.

Se Narciso Parigi ha espresso in musica la spensieratezza e l’orgoglio di una città cresciuta nell’armonia, Roberta Betti, compositrice di musiche e colonne sonore, autrice di testi e marginalmente cantante, ha avuto un registro più imprevedibile. Suggerito, forse, dai contrasti della città in cui è nata e vissuta. Dal sarcasmo delle canzoni scritte per la rivista del Buzzi, con sguardo certo benevolo, ma impietoso come satira comanda, Roberta Betti virò sulla denuncia sociale di Violenza no e sull’intimismo quasi dolente di Se Prato la un ci fosse. Suggestioni alla Brel, temperate - anche per lei - dall’ironia toscana che risparmia la nostra gente dal piangersi addosso.

Ma dove Betti è appieno figlia della propria città - una città dove non è di casa il “vissi d’arte” - è nell’aver condotto la sua produzione musicale in parallelo a quella di imprenditrice. Riunendo infine le vocazioni per l’arte e per gli affari nell’impresa che la consegna alla storia locale. Aver salvato il Politeama Pratese dal trasformarsi in centro commerciale, acquistandolo grazie alla public company da lei fondata, e da lei personalmente garantita di fronte alle banche e alla Consob. Tutti contribuirono: gli enti pubblici e privati, gli imprenditori e i semplici cittadini, compresa la pensionata che inviò diecimila lire assieme a una lettera, in cui ricordava una serata all’opera, trascorsa al Politeama: era il regalo ricevuto dal marito per le nozze celebrate quel giorno.

In una città generosa ma individualista, dove pochi anni prima un industriale, da solo, aveva costruito e donato alla città il museo di arte contemporanea, Betti riunì tutti i pratesi in un progetto che riuscì a trasformare da utopia a realtà. E ottenendo che fosse Riccardo Muti a dirigere la serata dell’inaugurazione. E nel Politeama pienamente recuperato, Betti allestì la scuola di musical affidata a Simona Marchini. Perchè per lei, la musica era soprattutto divertimento.

Artista pieno, nella città simbolo dell’arte, Narciso Parigi. Imprenditrice di spettacolo per conto di tutti, in quella che era la città del lavoro indefesso, Roberta Betti.

Entrambi hanno offerto talento alla canzone popolare, a forte impronta locale e tuttavia di universale lettura. Ma la caratteristica che li unisce è stata la capacità di riunire le rispettive città fino a rappresentarle nella loro interezza e complessità di ricchi e poveri, centro e periferie, autoctoni e non.

Narciso Parigi era Firenze, Roberta Betti era Prato. Anzi, l’uno e l’altra sono e saranno sempre Firenze e Prato. Perché gli amici se ne vanno, commossi, dalle camere ardenti allestite a Palazzo Vecchio e al Politeama, ma la musica non è finita. La loro non finirà mai.