Hanno bussato alla porta della procura di Firenze, ma nessuno ha aperto. E’ stata respinta l’istanza dei familiari di alcune vittime del mostro volta a riaprire le indagini sui delitti (alcuni dei quali non hanno ancora un giudicato) e sull’ex legionario di Prato Giampiero Vigilanti. "Le nuove investigazioni alla base della richiesta potrebbero anche in ipotesi esitare in modesti risultati che, tuttavia, valutati unitamente al materiale preesistente certamente utilizzabile devono essere in grado di giustificare un sostanziale ribaltamento del quadro indiziario", motiva la procura. Condizione che, secondo gli inquirenti, non viene ravvisata nell’elenco di punti da profondire presentato nell’aprile dell’anno scorso da un pool di legali. In una quindicina di pagine, il procuratore Luca Turco smonta le richieste di approfondimento presentate dalle parti civili e strizza perfino l’occhio a vecchi spunti investigativi. Come la “pista sarda“. La macchina sportiva rossa, notata a Calenzano nell’ottobre del 1981, viene accostata a "quella all’epoca posseduta da Antonio Vinci, figlio del noto Salvatore. In una vecchia informativa, datata 5 gennaio 1985, destinata al pm Adolfo Izzo, i carabinieri di Poggio a Caiano segnalano che "lo stesso era in possesso dell’autovettura Alfa Romeo 1300, di colore rosso". Il figlio di Salvatore aveva acquistato quell’auto nel maggio del 1981 e "ha avuto la piena disponibilità dell’autovettura per gli anni 1981, ’82 e ’83". Va detto che Vinci jr venne interrogato l’11 settembre 1983 (dopo il delitto di Giogoli) e riferì che l’Alfa si trovava "ferma a Poggio alla Malva vicino alla casa del popolo da circa 45 mesi" perché aveva il motore rotto. Ricostruzione che non convince l’avvocato Adriani che punta il dito che pensa invece alla Lancia Flavia di Vigilanti: "Non demordo, ho già pronta una nuova istanza", annuncia.