Magnini festeggia cent'anni: "Vi racconto la mia Prato" / VIDEO / FOTO

Già agente di commercio nel tessile e animatore della cultura rievoca con lucidità fatti e protagonisti di un secolo di vita della città

Luciano Magnini

Luciano Magnini

Prato, 14 febbraio 2021 - E’ nato mentre l’Italia usciva a fatica dalla guerra mondiale (la prima), il fascismo ancora non governava e il Pci era stato fondato da appena un mese. Parlarci, è tuffarsi in una storia che quasi non è più della memoria, ma appartiene ai libri.  Luciano Magnini è nato il 14 febbraio 1921, oggi compie cent’anni assistito da lucidità, memoria, serenità. È stato agente di commercio “circolare”: acquistava nel mondo materie prime (in prevalenza stracci), rivendeva al mondo il cardato che Prato aveva ricavato, restituendo vita a quegli abiti usati e quei cenci. Imparò il mestiere dal suocero Giuseppe Sartani, lo ha trasmesso al figlio Marco. I nipoti hanno scelto altre strade: l’azienda, che aveva sede di via Muzzi e si trasferì in via Cambioni, non andrà oltre la terza generazione, che comunque è un gran bel traguardo per le poco durevoli esperienze familiari del tessile pratese. In più, Magnini ha sostenuto tutto, della cultura cittadina. Dallo spettacolo alla musica, dai libri all’arte. Con incursioni in politica (nel Pri), dettate soprattutto da testimonianza e senso civico. L’invito suoi dei conoscenti ad annunciare la ricorrenza di oggi, non può che trasformarsi nell’ascolto di chi molto ha visto ed a molto ha contribuito, della nostra città. Da dove cominciamo?  «Dal dopoguerra. Ero tornato soldato dal Montenegro, si era ricostituita la Camera del lavoro, mancava la sede e piaceva il palazzo sul Mercatale. Costava 26 milioni, ne avevamo 5 e sei mesi per trovare i soldi che mancavano. Sei mesi di notti insonni. Per legge, le imprese versavano al sindacato l’1% delle retribuzioni. Non ci furono scioperi e ce la facemmo. Quando Di Vittorio inaugurò la sede, mi cercò e mi strinse la mano. Quando c’è stato da aiutare Prato io ci sono sempre stato». Altre occasioni? «Il Metastasio. Il sindaco Giovannini voleva riaprirlo, in consiglio comunale Torricini guidava i contrari. Voleva farne un magazzino. Convinsi il Gruppo stampa pratese, che riuniva i corrispondenti dei giornali e di cui ero segretario, a firmare un documento per la rinascita. Giovannini lo sbandierò agli oppositori: ‘Volete mettervi contro tutta la stampa pratese?’ Il teatro riaprì». Lei ha vinto tutte le battaglie? «Davo contributi, non vincevo io, ma Prato. Sconfitte ce ne sono state. Ad esempio, sul monumento al vento di Dani Karavan, in Calvana. Con Loriano Bertini e Giuliano Gori era stato comprato un ettaro di terreno. Gli ambientalisti si opposero, pensando che sarebbe stato lo spunto per lottizzare la collina. Il sindaco Landini si arrese: ’mi spiace, ma non posso permettere che cada la giunta’. Un’occasione perduta, come anni dopo, con la collezione di libri d’arte di Loriano Bertini: l’assessore Vannucchi propose al Comune di acquistarla, il sindaco negò (‘di libri ce ne sono fin troppi’). Oggi la collezione è a Firenze». Ci guadagna sempre Firenze. «Siamo noi che non ci valorizziamo. Armando Meoni scrisse un grande romanzo, La ragazza di fabbrica, ma chi lo ricorda? Alla biografia di Malaparte (di Maurizio Serra ndr), la Francia ha di recente assegnato i premi Goncourt e Casanova; anche Acqui Terme l’ha premiata. A Prato nulla: sarebbe bastato invitare l’autore. L’istituto per la Musica del ‘700 diretto dal maestro Luciano Bettarini, vinse l’Oscar del disco per l’incisione degli spartiti di Domenico Zipoli, eseguiti da Tagliavini. Corrado presentò la premiazione: qualcuno lo sa, qualcuno lo ricorda? E c’è un altro personaggio dimenticato». Chi? «Sarah Ferrati, una delle più grandi attrici italiane: più che una targa sul portone di casa, in via Guasti, niente». Poco pure per Clara Calamai. (Qui Luciano si accende in un sorriso).«Avevo 17 anni, giovane d’ufficio da un ragioniere. Entra una ragazza, media statura, occhi meravigliosi, prima di sedersi davanti a me, si accomoda le gonne. Nulla di scandaloso, ma per un lampo le vedo le gambe, resto con le mani sospese sulla Remington. Anni fa in un’autobiografia, un costumista le definì quelle di Clara Calamai le gambe più belle del cinema. Io, le vidi dal vero». Nel tessile, invece Prato non perdeva le buone occasioni. «Ho lavorato negli anni d’oro, dal ‘50 a tutti gli ‘80. Setacciavo il nord America a cercare materie prime e stracci, una sera a Minneapolis, col mio corrispondente, trovo a cena un brillante quarantenne, gli spiego il mio lavoro, lui si congratula: ‘ottimo, lei porta dollari negli Usa’. Era Walter Mondale. Non credo che molti a Prato abbiano cenato con un vicepresidente Usa». Chi, dei pratesi del tessile, le è rimasto nel cuore? «Enrico Befani, il presidente che portò la Fiorentina al primo scudetto. Era dieci anni avanti a tutti. Incaricò un emissario di setacciare l’Australia per comprarvi stracci, avendo capito al volo che l’australiana era la lana migliore del mondo. L’emissario, era Felice Guarducci, a sua volta industriale e amico, poi trasferitosi in una tenuta a Bolgheri (dove morì a marzo 2020 a quasi 96 anni ndr). Spesso, allora gli industriali nascevano dal nulla». In che senso?  «Due fratelli macellai - di cui non dirò il nome - chiusero bottega, presero a impannare e fecero soldi. A Iolo c’era una rete di cenciaioli: ogni tanto qualcuno diventava imprenditore. Ricordo un magazziniere del Banci che con un socio aprì il lanificio ‘Lanatela’ e vendeva 6000-7000 pezze a volta, a New York. Era Loriano Bertini, è diventato mecenate d’arte, ne abbiamo parlato poco fa». Prato tornerà come prima? «Prato non morirà mai. Valori e qualità ci sono, besterebbe un incoraggiamento, un incentivo per riaccendere tutto». Buon centesimo compleanno, Luciano. Auguri. «Gli auguri li faccio io, a Prato». Piero Ceccatelli