"Le mie giornate da pensionata del bene"

Madre Paola da ottobre 2019 non è più la superiora delle suore di Jolo. "Esplorare il mondo? Basta così, sento realizzata la mia missione".

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Cosa fanno? Dove sono? Li abbiamo lasciati per strada. Le vicende convulse della nostra città e la tirannia del coronavirus hanno aumentato l’oblio di persone che alla Prato di ieri e di oggi hanno dato connotati importanti. Qualcuno ha stabilito il definitivo abbandono dai ruoli passati; quaIche altro si arriccia le maniche per un contributo al domani di speranza. Una nuova puntata della rubrica che ci accompagna ogni mercoledì.

di Roberto Baldi

Madre Paola, al secolo Angela Collotto, è stata per molti anni e rimane tutt’oggi una figura esemplare per Prato, dove arrivò a dieci anni, ultima di sette fratelli, che trovava ospitalità a braccia aperte nella città del richiamo lavorativo. E’ proprio in fabbrica che madre Paola a soli 15 anni fece le prime esperienze come rammendina e magazziniera. Il 1 marzo 1978 partenza per l’India insieme a madre Rosa ed altre quattro consorelle, iniziando a Cochin sotto un grande albero la scuola di base in un capannone che fungeva anche da cappella. Ritorno a Prato e poi di nuovo in India, dove comincia, con l’aiuto dei pratesi, la costruzione di un dispensario. Nel 1986 l’istituzione a Jolo della casa-famiglia per soggetti con problemi psichiatrici, oggi 16 e 27 suore presso villa Martelli, dove nasce anche il mercatino dell’usato. Nel 1981 una casa anche in Ecuador (America Latina), operando sui vari versanti di assistenza medica, culturale e religiosa. Nel 1987 una casa a Lublino in Polonia per accoglienza ed aiuto dei bambini bisognosi. Alle soglie quasi degli 80 anni vive la Casa famiglia di villa Martelli con la serenità di chi si è finalmente concessa un angolo di beatitudine sulla strada oltre il cimitero di Iolo, con la pace interiore che la vedi dipinta in quel sorriso largo di chi ha saputo scrivere la fiaba dell accoglienza.

Da Prato all’India, all’Ecuador, alla Polonia, alla Romania. Perché?

"Non saprei dire. In un tema di francese della seconda magistrale scrivevo che il mio sogno era fare l’assistente sociale in India. L’ospitalità di questa città mi ha insegnato a portare il cuore di Prato nel mondo".

C’è un’età della pensione per persone piene di vita come la sua?

"La nostra regola prevede un avvicendamento periodico nel ruolo di madre superiora. Io ho terminato il mio percorso il 16 ottobre e lascio volentieri il compito alla mia collega, che mi è subentrata alla vigilia del coronavirus, da cui siamo passate fortunatamente indenni. Resta vivo per noi il comandamento della dedizione, della generosità, e dell’amore. Non importa quante persone hai incontrato nella tua vita, ma quanto aiuto sei riuscita a dare. La generosità è per noi suore una ricetta di vita".

Prato vi è stata vicina?

"Una cifra per tutte: l’85% delle giovani adozioni sono state effettuate da pratesi, ma sono state molte altre le realizzazioni ottenute con l’aiuto di Prato: la nostra città ha donato il dispensario per malati di lebbra e tubercolosi, tutt’ora efficientissimo, che l’allora sindaco di Prato Lucarini venne a inaugurare. Fra gli attestati del nostro lavoro mi piace ricordare quello del regista toscano Paolo Virzì che venne a Villa Martelli a girare alcune scene di un film. Le nostre pazienti in un laboratorio, insieme all’immagine della Vergine, hanno voluto anche un poster di Scamarcio. Le abbiamo accontentate per l’amabile innocenza del loro desiderio".

Nostalgia per un passato che le ha consentito di esplorare il mondo?

"No. E’ stato bello scavalcare i confini della nostra esistenza, ma anche in questa veste di pensionata del bene, nel silenzio ovattato di villa Martelli, in questo odore di cose semplici, lontano dai rumori della città e dalla burocratizzazione della solidarietà, sento realizzata la mia missione. L’età, un po’ di stanchezza e un fastidioso dolore a un ginocchio m’impedirebbero di andare ancora a esplorare il mondo".