La parentopoli delle analisi verso il processo

Chiesto il rinvio a giudizio per 29 fra medici e infermieri del Santo Stefano accusati di truffa allo stato. Ma c’è lo spettro della prescrizione

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di Laura Natoli

PRATO

Analisi del sangue con truffa al Santo Stefano. Sono 29 le persone, fra medici, infermieri e tecnici di laboratorio, per cui la procura di Prato ha chiesto il rinvio a giudizio nell’ambito dell’inchiesta esplosa un paio di anni fa e che venne subito ribattezzata come la "parentopoli" delle analisi mediche. I pm Lorenzo Boscagli e Lorenzo Gestri hanno formulato le richieste di rinvio a giudizio per 29 dei 43 indagati iniziali, tutti accusati di truffa aggravata allo Stato. E’ stata invece stralciata la posizione della ex dirigente del laboratorio di analisi del Santo Stefano, Patrizia Casprini, che ha chiesto di accedere alla messa alla prova. Si tratta di uno strumento giuridico che consente all’indagato, una volta ammesse le proprie responsabilità, di svolgere servizi socialmente utili in cambio dell’estinzione del reato. Casprini ha prestato servizio durante la campagna vaccinale gratuitamente.

Sarà il giudice dell’udienza preliminare (fissata per 21 aprile) a ratificare il buon esito della messa alla prova. Gli altri 29 indagati hanno, invece, scelto il percorso del processo. Casprini venne sospesa dal servizio poco dopo la bufera giudiziaria e adesso è stata trasferita ad un altro incarico. Nel mirino degli investigatori finì il vasto giro di analisi mediche che sarebbero state eseguite a parenti e amici dei sanitari fuori dai canali ufficiali, ossia senza il pagamento del ticket previsto per legge. Un malcostume che, secondo gli investigatori, era ben diffuso all’interno del Santo Stefano. Le analisi incriminate su cui la guardia di finanza ha svolto accertamenti in questi quattro anni di indagini sono state ben 1100. L’inchiesta è partita da un contenzioso risalente al 2009 che la Casprini ebbe con una collega. L’ex dirigente del laboratorio del Santo Stefano venne condannata dal giudice di pace a pagare un’ammenda di 200 euro per aver schiaffeggiato la collega che si era rifiutata di analizzare una provetta senza codice a barre. Era il 2009 e già allora le provette erano prive del codice che dimostra ilpagamento del ticket. E’ dalle carte del processo di fronte al giudice di pace che gli investigatori sono partiti. Un paio di anni prima era già arrivata una segnalazione anonima alla Finanza su esami medici svolti in ospedale a parenti e amici di medici e dipendenti. Una segnalazione che non aveva trovato riscontri fino alla notizia della condanna della dottoressa. L’inchiesta è proseguita sotto traccia finché, nel novembre del 2018 la Finanza si è recata in ospedale per la perquisizione. Dalle indagini della Procura starebbe emerso un sistema ben oleato nel quale i familiari e gli amici dei sanitari avevano garantite analisi mediche senza pagare il ticket. I prelievi venivano fatti direttamente in reparto e le provette, senza il codice a barre venivano portate direttamente al centro di analisi dove si redigevano i referti con i nomi dei pazienti. In realtà i prelievi interni all’ospedale possono essere fatti solo ai ricoverati e non agli esterni che, invece, si dovrebbero rivolgersi ai centri dell’Asl sul territorio. La guardia di finanza rintracciò nel sistema informatico dell’ospedale una serie di analisi (risalenti anche al 2013) fatte a pazienti mai ricoverati e al cui nome non corrispondeva nessun pagamento. Centinaia di persone, tutte in qualche modo legate ai dipendenti del Santo Stefano. Le indagini sono state lunghe e complesse per cercare di stabilire le responsabilità di ogni singolo sanitario. Adesso però incombe la prescrizione (per la truffa sono sette anni e mezzo) ed è praticamente certo che il processo finirà in una bolla di sapone lasciando solo il ricordo di quel malcostume generalizzato all’interno dell’ospedale.