La crisi toglie gli ultimi scrupoli agli aguzzini "L’imperativo è risparmiare sempre di più"

Brezzo (Cgil): "Oggi le confezioni lavorano meno di prima, ma quelle che sono attive cercano in tutti i modi di abbassare i costi"

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"Da quando è partito il progetto Lavoro Sicuro della Regione nel 2014 la situazione è certamente migliorata, ma l’obiettivo della regolarità assoluta è ancora lontano. Sarebbe necessario un cambio di mentalità". Lo dice il direttore del dipartimento di prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro dell’Asl Toscana centro, Renzo Berti, dopo il nuovo caso di sfruttamento lavorativo in una confezione gestita da cinesi scoperto dalle indagini della procura di Prato. E’ stato proprio grazie a quel progetto, rinnovato (e rifinanziato) appena un mese e mezzo fa, che gli investigatori della squadra mobile sono riusciti ad accertare le condizioni disumane e di schiavitù in cui erano ridotto 30 operai stranieri. "E’ un fenomeno ancora da combattere – dice Berti – perché la mentalità è lontana da quel modello di trasparenza e legalità che potrebbe debellare situazioni come lo sfruttamento, il lavoro nero, i clandestini, la mancanza di sicurezza nelle fabbriche". Dal 2014 a oggi qualcosa è cambiato, molte ditte si sono messe in regola, ma non è abbastanza. "Nelle fabbriche si muore", è stato ripetuto più volte ieri mattina, mentre veniva illustrata l’attività d’indagin svolta sulla confezione "Giulio" a Galciana. Molti imprenditori cinesi continuano a operare con le stesse modalità utilizzate da anni, ben prima del rogo al Macrolotto, come se quella tragedia non fosse mai avvenuta. E l’ultimo casoin ordine di tempo ne è la dimostrazione. Ma che cosa è cambiato con il Covid? Le confezioni lavorano come prima? Che cosa succede al Macrolotto? "Sicuramente le confezioni lavorano meno di prima", ha spiegato Massimiliano Brezzo, segretario Filctem-Cgil. "Ci sono meno richieste e meno ordini e quindi è diminuito anche lo sfruttamento. Lavoro e sfruttamento sono direttamente proporzionali. Quel poco di lavoro che c’è si canalizza tutto nelle aziende che continuano a lavorare. Ed è proprio sfruttando i lavoratori che è possibile abbattere i costi. Impossibile pensare che si esporti la merce illegalmente attraversando paesi chiusi per i lockdown, ma anche zone e regioni rosse passando inosservati. Il lavoro ha avuto una battuta d’arresto e le confezioni si sono dovute adattare restando ferme. Quantitativamente lo sfruttamento è diminuito, qualitativamente è aumentato". Brezzo ricorda come i primi a ripartire durante il lockdown furono i cinesi che riconvertirono la produzione: chi faceva abbigliamento passò alle mascherine. Gli stessi che poi sono finiti nell’inchiesta della procura per le mascherine truccate e che usavano lavoratori a nero, alcuni dei quali in cassa integrazione. Le ditte sono dunque ferme, a parte poche eccezioni. A conferma di questo arrivano, ad esempio, i risultati scaturiti dai controlli effettuati nel distretto di Montemurlo dove la polizia municipale ha rintracciato nei giorni scorsi ben 56 nuove aziende cinesi in attesa di ordini. Le ditte sono state rintracciate grazie a un accordo con la Camera di commercio che segnala alla polizia municipale l’apertura di nuove partite Iva. Le segnalazioni consentono agli agenti di effettuare controlli prima che parta la produzione. Peccato che ultimamente gli agenti si siano trovati di fronte a confezioni vuote per l’assenza di lavoro.