"In 34 mesi nessuna giustizia per Giovanni"

Appello su Rai Tre Piemonte del padre di Iannelli, il ciclista morto nel 2019 durante una gara dopo aver sbattuto la testa contro un muretto

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Sono trascorsi 34 mesi dal tragico incidente che costò la vita a Giovanni Iannelli, e continua incessante la lotta del padre Carlo per avere un processo per il figlio. Una battaglia che Carlo combatte contro l’indifferenza di troppi e che ha tenuto a ricordare anche in un breve servizio televisivo in onda su Rai Tre nel Telegiornale del Piemonte, la regione dove avvenne il tragico fatto. L’incidente a 144 metri dalla linea di arrivo di quella gara in provincia di Alessandria del 5 ottobre 2019. Giovanni andò a sbattere con la testa contro lo spigolo di una colonna in mattoni che sorregge un cancello, che non aveva nessuna protezione. "Gli organizzatori – racconta Carlo - avevano posizionato solo 50 metri scarsi di transenne in spregio di quanto previsto obbligatoriamente dal Regolamento Tecnico nonché dalla buone e corrette prassi organizzative, e tutto questo alla presenza di autorità, nazionali, regionali e locali". Dopo l’incidente che costò la vita a Giovanni, il padre già dirigente regionale e nazionale di ciclismo nonché presidente per anni della Ciclistica Pratese 1927 si attivò per conoscere le responsabilità degli organizzatori. Qualche mese dopo le due sentenze sportive con la società organizzatrice, il G.S. Bassa Valle Scrivia sanzionata nella misura massima per mancanza di adeguate transenne e per la pericolosità del rettilineo di arrivo e quella del Tribunale Federale della F.C.I., che accogliendo la richiesta di patteggiamento avanzata dai deferiti condannò, il presidente della società organizzatrice, il Direttore ed il vice direttore di corsa, ad 8 mesi di inibizione ed il gruppo alla censura con ammenda di 1000 euro. In sede penale ogni procedimento è stato archiviato.

"Per questi motivi e non solo, non smetterò di lottare affinché ci siano verità e giustizia per la morte di mio Figlio. E per averle serve un processo. Celebrare un processo è principio di civiltà, un diritto sacrosanto, specialmente per la parte offesa, per una famiglia che ha perso un figlio strappato alla Vita nel fiore degli anni". Le ultime considerazioni sono un invito ad addetti ai lavori. "Perché la nuova Federciclismo non sta al mio fianco in questa battaglia? Perché non chiede anch’essa che venga celebrato un processo? Non ha forse a cuore la sicurezza dei corridori? Forse è una delle mie controparti? Se così fosse, e spero di sbagliarmi, significa che nulla è cambiato".

Antonio Mannori