Iannelli e la battaglia per il figlio: "La Federciclismo stia al mio fianco"

Il padre del ciclista morto in un incidente durante una gara nel 2019 continua a chiedere giustizia.. E lo fa nel giorno in cui il suo Giovanni avrebbe compiuto 25 anni: "Per avere la verità serve un processo"

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di Antonio Mannori

Sono trascorsi 25 mesi e mezzo dal tragico incidente che costò la vita a Giovanni Iannelli che proprio ieri avrebbe compiuto 25 anni, e continua incessante la lotta del padre Carlo per avere un processo per il figlio. Una battaglia che Carlo combatte contro l’indifferenza di troppi e che non si stanca di portare avanti. L’ha ribadita anche su riviste e siti specializzati di ciclismo, come ‘Cycle Italia’ mensile che da questo mese affianca il sito ‘ciclismoweb’.

Ma riavvolgiamo il nastro, tornando a quel maledetto 5 ottobre 2019. Giovanni andò a sbattere con la testa contro lo spigolo di una colonna in mattoni che sorregge un cancello e che non aveva nessuna protezione. "Gli organizzatori – racconta Carlo – avevano posizionato solo 50 metri scarsi di transenne in totale spregio di quanto previsto obbligatoriamente dal Regolamento Tecnico nonché dalla buone e corrette prassi organizzative, e tutto questo alla presenza di numerose autorità, nazionali, regionali e locali".

Dopo l’incidente che costò la vita a Giovanni, il padre – già dirigente regionale e nazionale di ciclismo nonché presidente per anni anche della Ciclistica Pratese 1927 – si attivò per conoscere tutti gli aspetti della dinamica e le eventuali responsabilità degli organizzatori.

Qualche mese dopo le due sentenze sportive, con la società organizzatrice, il Gs Bassa Valle Scrivia, sanzionata nella misura massima per mancanza di adeguate transenne e per la pericolosità del rettilineo di arrivo; e la sentenza del Tribunale Federale della Fci che, accogliendo la richiesta di patteggiamento avanzata dai deferiti, condannò, il presidente della società organizzatrice, il direttore e il vice direttore di corsa, a 8 mesi di inibizione e il gruppo alla censura con ammenda di 1000 euro.

In sede penale, invece, ogni procedimento promosso è stato archiviato. "Ma per questi motivi, e non solo, non smetterò di lottare affinché davvero ci siano verità e giustizia per la morte di mio figlio Giovanni – spiega Carlo Iannelli – E per averle serve necessariamente un processo, poiché soltanto in quella sede, nel contraddittorio tra le parti che finora non c’è stato, e in condizioni di parità, potranno essere approfondite e chiarite certe situazioni. Celebrare un processo è principio di civiltà, un diritto sacrosanto – continua Iannelli – specialmente per la parte offesa, per una famiglia che ha perso un figlio strappato alla vita nel fiore degli anni".

Le ultime considerazioni sono un invito per gli addetti ai lavori. E, in un certo senso, una nuova richiesta di aiuto, nella speranza che qualcosa possa muoversi. "Perché la ‘nuova’ Federciclismo non sta al mio fianco in questa battaglia? Perché non chiede anch’essa che venga celebrato un processo? Perché non supporta le mie istanze anziché opporsi affinché vengano respinte? Non ha forse a cuore la sicurezza dei corridori? Forse – chiude con amarezza Iannelli – è una delle mie controparti? Se così fosse e spero tanto di sbagliarmi, significa che nulla è davvero cambiato".

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