"Fondazione più aperta alla società civile" Bini: chi si oppone segue vecchie logiche

Il presidente difende la riforma dello statuto: "Guarda avanti e segue la nostra missione". E sul ricorso al Tar: "Incomprensibile e inopportuno"

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di David Bruschi

Presidente Bini, i suoi oppositori dicono che lei, con la sua riforma, sta snaturando l’identità della Fondazione della Cassa di Risparmio di Prato. Quando è stato eletto quasi tre anni fa immaginava che avrebbe potuto ritrovarsi a questo punto?

"No, ma ho la coscienza tranquilla: non ho interessi personali da difendere e voglio agire per il bene della città. La riforma, approvata dal ministero dell’Economia, è il risultato di un lungo lavoro portato avanti da tutto il Consiglio di indirizzo che si è espresso a favore a larga maggioranza. È una riforma che guarda avanti, ispirata alla visione di una Fondazione più aperta e più rappresentativa della comunità e della società civile".

Che però cancella tradizioni consolidate...

"Non c’è alcun snaturamento: la Fondazione resta fedele alla sua storia e alla sua missione. E il suo ruolo di sostegno è quanto mai necessario nel bel mezzo della pandemia: in questa nuova visione sono proprio i settori della solidarietà, dell’istruzione e della cultura ad avere la massima attenzione".

Sì. ma si sperava che dopo un lungo periodo di divisioni anche feroci, con lei sarebbe arrivato il momento della tanto attesa ricomposizione. Invece il nuovo statuto è addirittura impugnato di fronte al Tar. Sente di avere qualche responsablità?

"Dal suo insediamento il Consiglio di indirizzo ha lavorato seriamente e in buona armonia al progetto di riforma statutaria, accogliendo proposte di provenienza diversa, nel rispetto di tutte le opinioni. La ricomposizione c’è stata nei fatti, nel lavoro comune e nell’ascolto reciproco, e di questo ringrazio i consiglieri. Questo ricorso va - in modo incomprensibile e inopportuno - a incidere negativamente proprio su questa ritrovata collaborazione. Alla luce di una visione non più adeguata ai tempi, si sta cercando di bloccare un processo virtuoso di avvicinamento della Fondazione alla città e alla sua realtà".

Scorie rimaste sul terreno per colpa della vecchia divisione fra ala laica e ala cattolica. Ha davvero ancora senso?

"No, non ha più senso parlare di quella divisione. Parlerei piuttosto di una divisione tra chi guarda avanti e chi è rimasto legato a dinamiche superate e a un passato lontano, e da questa prospettiva cerca di condizionare, spero in buona fede, ancora il presente. La Fondazione è un patrimonio della città e opera nell’interesse di tutti, senza distinzioni".

Resta difficile per un osservatore esterno capire perché all’ombra dell’ente continuino a consumarsi dissidi tanto accesi.

"La Fondazione è rimasta praticamente l’unico ente a sostegno di associazioni e istituzioni che operano nell’ambito della cultura, della solidarietà e dell’educazione. Supportiamo - tra i tanti - la Camerata e il Pin, l’Emporio della Solidarietà, il Museo del Tessuto, la Fondazione Datini e tante altre importanti realtà. In questo momento di particolare difficoltà il consiglio di indirizzo e il consiglio di amministrazione si stanno inoltre impegnando con grande determinazione per mettere a disposizione risorse straordinarie per l’emergenza sanitaria e sociale provocata dalla pandemia. Nel 2020, in tutto, sono stati stanziati circa due milioni di euro tra contributi e impegni per l’housing sociale, e altrettanti verranno messi a disposizione nel 2021. Questi sono fatti. Ed è alla luce di questi fatti che i dissidi sono difficilmente comprensibili".

Proviamo a entrare nel merito della riforma che è anche un modo per capire la sua visione dell’ente. Partendo da una assemblea dei soci che ora si ritrova con meno poteri rispetto al passato. Qualcuno l’ha definita "un simulacro privo di qualsiasi potere...".

"Sono affermazioni che non rispondono alla verità dei fatti: l’assemblea è stata allargata con l’ingresso di venti soci in più e continua ad eleggere la metà dei componenti del consiglio di indirizzo, che è la quota massima consentita dalla legge. La novità è che aumenta la responsabilità dei soci, di tutti i soci: anche coloro che sono designati dagli enti e dagli altri soggetti locali avranno gli stessi diritti dei soci di designazione assembleare".

Si potrebbe insinuare che l’innalzamento del numero dei soci sia una mossa pensata apposta per indebolire i suoi avversari, annacquarne il peso.

"L’aumento del numero dei soci e degli enti designanti è stato approvato all’unanimità dal consiglio di indirizzo, anche da chi - in modo sorprendente e con assoluta mancanza di coerenza - oggi critica questa decisione, contribuendo a diffondere una narrazione stravolta della verità. Non si dovrebbe avere paura del confronto delle idee e non sono abituato a considerare avversari coloro che affermano una posizione diversa, ma mi preme ribadire con forza che l’aumento del numero dei soci è pensato e voluto per far sì che la Fondazione possa ascoltare meglio la città e le sue necessità".

E poi c’è la questione delle deleghe che lei ha voluto abolire. Perché mai se è un istituto generalmente accettato ovunque?

"Il consiglio di indirizzo con questa scelta ha ritenuto di stimolare la partecipazione dei soci, per dare valore al ruolo dell’assemblea. Si è notato che in passato c’è stato un uso davvero eccessivo di questo strumento, che ha finito per delegare a pochi soci la partecipazione alla vita della Fondazione. La partecipazione diretta dei soci arricchisce il confronto. E anche sui soci a vita vorrei dire una cosa...".

La loro presenza sembra messa in discussione.

"E’ falso. Voglio dire con forza e una volta per tutte che non c’è niente nella riforma che metta in discussione la loro presenza. Ci sono e restano in carica con tutti i loro diritti".

Presidente, si è pentito di avere accettato questo incarico?

"Ho dato la mia disponibilità per spirito di servizio. Mi sono impegnato, e penso di continuare a farlo, libero da condizionamenti. Non certo contro qualcuno ma per Prato e i pratesi".