Covid Prato: "Il picco c’è già stato, adesso avanti coi vaccini"

Parla Renzo Berti, direttore del Dipartimento di prevenzione dell’Asl Centro

Renzo Berti (foto Marco Mori /New Press Photo)

Renzo Berti (foto Marco Mori /New Press Photo)

Prato, 25 aprile 2021 - Renzo Berti, direttore del Dipartimento di prevenzione dell’Asl centro, analizza il caso Prato e l’andamento dei contagi nel distretto pratese.

Come spiega che i numeri del contagio a Prato siano ancora così alti a confronto con il resto della regione e addirittura d’Italia ? "Non lo sappiamo con esattezza, ma trattandosi di un virus a trasmissione prevalentemente aerea, la più ragionevole spiegazione è legata alla vicinanza delle persone per motivi di lavoro e di vita. Il Comune di Prato, in cui vive oltre l’80% della popolazione della provincia pratese, è ai primi posti per densità abitativa tra gli oltre 8.000 comuni italiani. Ed è un distretto industriale attivissimo intorno a cui ruotano ogni giorno migliaia di lavoratori. Oltretutto all’interno di un’area metropolitana in cui vive e si sposta più di un terzo di tutta la popolazione toscana. Accadde così anche per l’epidemia di meningite di qualche anno fa".

Avete riscontrato un miglioramento su Prato con l’istituzione per circa un mese della zona rossa? "Le zone rosse attuali prevedono misure restrittive di livello inferiore a quelle della fase iniziale. L’andamento successivo ha avuto fasi alterne, con periodi di riduzione (la settimana dal 6 al 12 aprile) e successiva ripresa".

Per differenziare un territorio dal punto di vista epidemiologico è sufficiente il tasso di incidenza dei nuovi positivi su 100mila abitanti, oppure nel prendere decisioni politiche (arancioni o gialli, ad esempio) è bene considerare altri fattori? "Se si vuole usare un criterio semplice, sì, anche se si tratta di un criterio grezzo condizionato dall’intensità dell’attività diagnostica. Un parametro decisivo è anche il carico ospedaliero che l’epidemia comporta, legato alla diffusione e alla gravità dei casi. Se i letti si riempiono troppo e i clinici vanno in affanno, il sistema va in stress. Ora ci sono le vaccinazioni, che possono far tornare le cure ospedaliere ai livelli ordinari".

Secondo lei a livello regionale abbiamo raggiunto il picco dei casi o per quando, più o meno, dobbiamo attenderlo? "Per quello che si capisce dai dati regionali giornalieri sembrerebbe di sì. Grazie forse alla combinazione dell’effetto dei giorni successivi alla zona rossa e all’aumento delle persone vaccinate. Ma serve ancora qualche giorno per esserne sicuri".

Su Prato avete elaborato qualche approfondimento? "C’è un monitoraggio quotidiano dell’andamento dei casi, dei ricoveri, dei decessi e dei vaccinati. Teniamo sotto osservazione i 72 comuni della nostra Asl. Facendo valutazioni mirate per quelle zone che di volta in volta, da marzo 2020 ad oggi, hanno mostrato qualche difficoltà in più. Che poi si sono dimostrate sempre transitorie e riconducibili nel tempo all’andamento nell’area metropolitana. Quindi, anche per Prato abbiamo fatto analisi più attente".

A suo parere le riaperture da domani sono un rischio ben calcolato o dal punto di vista medico era meglio attendere ancora? "Speriamo che il governo abbia fatto calcoli giusti con il Comitato Tecnico, valutando in modo appropriato l’effetto delle riaperture e la velocità delle vaccinazioni".

Quanto è presente il rischio che si possa replicare la cronologia dell’anno scorso: in estate quasi un bomba libera tutti e alle soglie dell’autunno un peggioramento? "Se continuano ad arrivare i vaccini, non dovremo più trovarci in questa situazione. A patto di mantenere comportamenti collettivi intelligenti, anche se non più restrittivi. Le eventuali nuove varianti sono un punto interrogativo. Al momento quelle esistenti sono controllabili con il vaccino e con comportamenti adeguati. Speriamo che non si sviluppino nuove forme aggressive".