Condannata per il figlio con l’allievo "Ora lasciatemi con i miei bambini"

Sei anni e mezzo di carcere per la violenza sessuale sul ragazzo a cui dava ripetizioni d’inglese La donna amareggiata: "Ma da quando c’è il piccolo in famiglia abbiamo ritrovato la serenità"

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PRATO

Sesso prima dei 14 anni e violenza sessuale su minorenne indotta dalle minacce. I giudici del collegio di Prato, presieduto da Daniela Migliorati, hanno confermato l’impostazione data dalla procura nella intricata vicenda della operatrice socio-sanitaria di 32 anni, pratese, che ha avuto un figlio dal ragazzino a cui dava ripetizioni di inglese. La donna è stata condannata ieri a sei anni e sei mesi di reclusione per violenza sessuale su minorenne e violenza sessuale per induzione. il marito, suo coetaneo, a un anno e otto e mesi per alterazione di stato civile, ossia per aver riconosciuto il bimbo – nato nell’agosto del 2018 dalla relazione della moglie con il ragazzino – pur sapendo che non era suo, come ha dimostrato la procura. I pm Lorenzo Gestri e Lorenzo Boscagli avevano chiesto pene sostanzialmente uguali: sette anni per lei senza attenuanti, due per lui. La donna è stata assolta solo per alcuni episodi avvenuti a casa del giovane.

"Adesso ho voglia solo di tornare a casa dai miei figli", ha detto la donna a fine udienza visibilmente contrariata per l’esito del processo. "E’ quello che conta. Voglio dedicarmi solo alla mia famiglia, cosa che ora posso fare con più tranquillità. Continuo a seguire il percorso psicologico che mi sta tirando fuori da tutta questa situazione. La verità verrà fuori, ne sono convinta. Conto nell’Appello". Pochi commenti anche da parte del marito che ha sempre ribadito di considerare il bambino come suo e di sostenere la moglie in questo momento difficile. "Attendiamo le motivazioni della sentenza – hanno spiegato i difensori Mattia Alfano e Massimo Nistri – Poi valuteremo se fare appello e proporre di nuovo la questione di legittimità costituzionale". Quest’ultima è stata una delle mosse tirate fuori dalla difesa: il codice non è al passo con i tempi e la maturità sessuale di un ragazzino di oggi non può essere la stessa di quella di un coetaneo degli anni Trenta, hanno detto gli avvocati sostenendo che i casi devono esser valutati volta per volta a seconda delle circostanze. Istanza che, però, il collegio dei giudici ha rigettato con la condanna della coppia.

Ha vinto la tesi della Procura secondo cui il primo rapporto sessuale è avvenuto quando il ragazzo aveva ancora 13 anni. Una tesi che ha aggravato la posizione dell’imputata. La donna si è sempre difesa collocando il primo rapporto quando l’allievo aveva già compiuto 14 anni. La sua parola, però, non è stata ritenuta credibile anche perché il ragazzo, sentito in incidente probatorio e poi in aula, ha ripercorso in modo chiaro e netto i fatti. Il giovane ricorda perfettamente quella prima volta, nel giugno del 2017, perché coincideva esattamente con il giorno del compleanno del padre.

La relazione è andata avanti, fra alti e bassi, fino all’inizio di marzo dell’anno scorso quando la madre del giovane si è resa conto di quello che stava accadendo, del nervosismo del figlio costretto a portare avanti la relazione sotto le minacce della donna. Agli atti del processo è allegata una lunga lista di messaggi Whastapp intercorsi fra i due nel gennaio-febbraio del 2019. Messaggi nei quali la donna minaccia il giovane di rivelare a tutti che il bambino è suo e di uccidersi se la relazione fosse finita, come avrebbe voluto il ragazzino che oggi ha sedici anni e mezzo.

Il ragazzo ha proseguito la relazione contro la sua volontà fino a quando la madre non lo ha messo alle strette costringendolo a raccontare tutto quello che era accaduto. La famiglia del giovane, assistita dall’avvocato Roberta Roviello, ha sporto denuncia e subito è partita l’inchiesta affidata ai pm Gestri e Boscagli. La procura ha disposto l’esame del dna che ha confermato la paternità del piccolo. E’ proprio questo uno dei punti che per ora resta in sospeso. Il padre naturale potrebbe rivendicare la paternità del bambino anche se per ora non sembra intenzionato. Oppure la procedura potrebbe partire di ufficio da parte della procura di Prato o del tribunale dei minori di Firenze. Un procedimento lungo che prima di partire dovrà attendere che la sentenza passi in giudicato. Da una parte c’è il padre naturale che non è intenzionato a fare nessuna rivendicazione, dall’altra c’è il padre che ha riconosciuto il bimbo, il marito della donna (hanno insieme un altro figlio di 12 anni), che invece ha sempre detto di voler tenere il bambino e di considerarlo suo. "Da quando c’è il piccolo la famiglia è più unita e abbiamo ritrovato la serenità. Il piccolo adora il fratello più grande e come tutti i piccini lo segue e gli va dietro", ha detto la donna qualche settimana.

"Non c’è nulla di cui essere soddisfatti quando si è di fronte a una condanna – ha commentato il procuratore Giuseppe Nicolosi – La vicenda è molto delicata per i personaggi coinvolti e per i minori. Il tribunale ha trovato le conferme che riteneva di dover acquisire per emettere una sentenza di condanna. Le indagini sono state capillari e dettagliate. Le carte parlano di rapporti avvenuti prima dei 14 anni e di diversi episodi protratti nel tempo, come il tribunale ha confermato. Per quanto riguarda i minori implicati, le valutazioni saranno fatte dal tribunale dei minorenni e nell’interesse di questi ultimi".