Le maxi bollette creano un effetto domino. "Costretti a rinunciare a parte degli ordini"

Le aziende in difficoltà per i costi del gas quintuplicati rispetto al recente passato. "Rischiamo di finire tutti fuori mercato"

Iacopo Scuccimarra della Rifinizione Cambi (Foto Attalmi)

Iacopo Scuccimarra della Rifinizione Cambi (Foto Attalmi)

Prato, 23 ottobre 2021 - «Poteva essere un anno che si concludeva decentemente e invece dobbiamo fare i conti con le tariffe del metano che sono diventate ingestibili. Si parla di aumenti del 500%: la bolletta del gas è quintuplicata, i rincari valgono milioni di euro. Di questo passo l’unica alternativa è quella di fermare le macchine".

Anche Iacopo Scuccimarra della Rifinizione Cambi rilancia il grido d’allarme che da settimane rimbalza nel distretto sulle conseguenze devastanti dei rincari di gas ed energia. Lo fa pochi giorni dopo la visita del sottosegretario Caterina Bini, alla quale Ivo Vignali di Confindustria aveva spiegato che a essere a rischio "c’è la tenuta del distretto, con i suoi 40.000 addetti".

"Ha ragione Vignali, a certi costi è meglio chiudere", conferma Scuccimarra. "Un’azienda come la nostra vive di manodopera ed energia. Se il costo di queste bollette aumenta in modo spropositato diventa impossibile andare avanti. Noi non abbiamo margini di utili di milioni di euro. Onestamente siamo in difficoltà, quasi spaesati da quello che sta succedendo e costretti a scaricare gli aumenti sui clienti. Ma in questo modo rischiamo tutti di finire fuori mercato". Giovanni Gramigni di Lanificio Bisentino parla invece della necessità di "spalmare i rincari su tutta la filiera, fino al consumatore finale".

"Chi nell’anno post chiusure da pandemia si può accollare margini ancora più risicati, prossimi allo zero?", si domanda l’imprenditore. "E’ evidente che nessuno possa permetterselo, quindi questa imposizione dobbiamo subirla tutti. Un aumento così forte deve essere trattato come se ci fosse stato un rincaro di una componente fondamentale della produzione. Come se ad esempio fosse aumentato il prezzo della lana. Quindi le lavorazioni ci faranno tariffe in base a quello che pagano di energia e noi adegueremo i nostri prezzi". Gramigni al contempo individua un elemento di pericolo.

"Bisogna capire qual è la situazione nel resto del mondo. Perché se i costi di produzione aumentano solo per il made in Italy, allora rischiamo di faticare a restare sul mercato. Purtroppo da tempo siamo ormai indifesi nella tutela dei marchi italiani e la nostra unica arma è quella di continuare a puntare sulla qualità, facendosi pagare il know how e la competenza. In tutto questo va fatto un invito a vigilare alle istituzioni, perché i rincari energetici sono stati anomali e molto importanti".

Qualcuno nel distretto per difendersi dal rischio di lavorare a rimessa ha deciso di imporsi delle soglie minime per le tariffe della produzione. "Mi sono dato un limite di oscillazione", dice Lido Lascialfari, dell’omonima tessitura. "Sotto quella soglia non ci vado e rinuncio alle commesse, perché già nel tempo i costi energetici e del personale sono cresciuti e ora c’è stato un boom incredibile. Ne va della stessa esistenza dell’impresa nel futuro". Lascialfari analizza pure tutte le altre criticità del distretto. "La preoccupazione maggiore riguarda il reperimento sul mercato delle materie prime", conclude. "Una difficoltà che rende difficile anche programmare il lavoro. Mancano ad esempio alcune componenti del filato, che quindi non consentono di mandare avanti l’ordine. E poi è sempre più difficile reperire manodopera da inserire o specializzare nel tessile. Servono tempo e risorse, e i costi non possono sempre ricadere sulle spalle delle aziende. Bisogna ripartire dall’offerta delle scuole, formando ogni singola categoria di lavoratori del distretto".