GIOVANNI PALLANTI
Cronaca

Bertini, il politico cattolico. La visione sociale nella Dc dell’avvocato dei poveri

Il pratese senza compromessi dal partito Popolare alla Costituente. Fermo oppositore del fascismo tornò alla politica con la fine della guerra.

Oggi è il settantacinquesimo anniversario della morte di un grande politico democratico: Giovanni Bertini, nato a Prato nel 1878 e morto il 29 dicembre 1949. Dopo avere studiato al collegio Cicognini, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza dell’università di Pisa, dove fu allievo dell’economista e sociologo cattolico Giuseppe Toniolo. Pochi anni fa elevato agli altari dalla Chiesa di Roma come Beato, Bertini, con un gruppo di giovani pratesi, a diciotto anni conobbe il trentenne don Romolo Murri, il geniale sacerdote marchigiano fondatore della prima Democrazia cristiana, diventandone il suo braccio destro. Don Murri è stato il primo a ribellarsi al proclamato da Pio IX dopo il 20 settembre 1870, quando l’esercito italiano pose fine al potere temporale dei Papi, conquistando Roma.

I cattolici dovevano astenersi da ogni impegno politico: né elettori né candidati. L’unità d’Italia con Roma capitale fu, come ha scritto Giovanni Spadolini, una rivolta delle classi dirigenti italiane contro il potere temporale del Papa e della Chiesa. Don Murri e Bertini dissero basta: tutti i cittadini italiani dovevano partecipare alla politica per il bene dell’Italia. La Chiesa di Roma nel 1907 scomunicò Romolo Murri. Bertini, a Prato, diventato leader di molti giovani, proseguì nel suo impegno di democratico cristiano fondando il giornale "L’operaio". Alla fine dell’Ottocento fu eletto consigliere comunale di Prato e poco dopo consigliere provinciale di Firenze. L’insegnamento di don Romolo Murri, rese Bertini, già allievo di Toniolo, coltissimo e scaltro. Nel 1913 l’Opera dei congressi, che rappresentava associazioni laiche di fedeli cattolici, firmò un patto col conte Gentiloni. I cattolici dovevano votare per i candidati liberali che garantivano la proprietà privata, le scuole cattoliche e l’opposizione al divorzio. Bertini riuscì a farsi candidare alla Camera dei deputati e con grande sorpresa fu eletto. Immediatamente cominciò a proclamare il superamento degli accordi sanciti dal patto Gentiloni, diventando il leader della nuova generazione dei cattolici, democratici cristiani, che guardavano a una possibile alleanza, allora veramente rivoluzionaria, con i socialisti. Dopo la Prima guerra mondiale, Bertini aderì nel 1919 al partito popolare fondato da don Luigi Sturzo. Bertini fu eletto deputato del Partito popolare nel 1919 e nel 1921. Dopo essere stato nominato sottosegretario nei governi Nitti e Giolitti, nel 1922 diventò ministro dell’Agricoltura nei due governi Facta. Come ministro si batté per stabilizzare i diritti dei contadini. Votò, insieme ad un altro toscano nato a Poggio a Caiano, il ministro degli Interni Taddei, lo stato di assedio proclamato dal governo contro la marcia su Roma di Benito Mussolini. Il re Vittorio Emanuele III non lo firmò, dando così via libera al fascismo. Finì così la carriera politica di Bertini nel Regno d’Italia. Per vent’anni fece l’avvocato difendendo la povera gente. Con l’avvento della Repubblica, dopo vent’anni di opposizione al fascismo, nel 1946 fu eletto deputato alla Costituente per la Dc e nel 1948 nominato senatore di diritto per i suoi meriti antifascisti.