Asino ucciso, cacciatore si "costituisce"

Rintracciato l’uomo che ha sparato a Orazio a Poggio di Petto. Partecipava a una battuta quando il colpo è partito per errore

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Si è autodenunciata la persona che ha sparato all’asino Orazio, la mascotte di Poggio di Petto ritrovata morta alla fine di ottobre del 2019 in prossimità del rifugio, situato all’Alpe di Cavarzano, dove stava pascolando in tutta tranquillità. Una scelta inevitabile quella dell’uomo - che era impegnato in una battuta al cinghiale col resto della sua squadra, quella domenica – visto che le indagini accurate della Polizia Provinciale lo avevano messo alle strette, togliendo ogni dubbio sull’arma, rinvenuta in suo possesso, che aveva sparato il colpo fatale. La vicenda è stata resa nota dai proprietari - la famiglia Pieragnoli, che gestisce il rifugio vicino al quale si trovava l’asino - che già dallo scorso autunno, per sporgere querela contro ignoti, avevano dato incarico ad un avvocato, che lunedì mattina si recherà in Procura per avere dettagli "ufficiali" e procedere con le richieste. Ed è proprio l’avvocato della famiglia, Silvia Cavallini, a raccontarci lo stato d’animo dei proprietari davanti alla vicenda che ha lasciato, non solo loro, ma tutti gli escursionisti della zona e i clienti del rifugio, atterriti, in lacrime e pieni di rabbia.

"Ci sono due cose assai gravi – spiega -. La prima è che è stato ucciso un animale che era come un membro della famiglia, era coccolato da tutti, tutti gli volevano bene. Ma per come è fatta la legge italiana, purtroppo, la morte di un animale è legata soltanto al valore economico e non a quello affettivo: pene severe, come potrebbe immaginare chi ha a cuore un animale, in questi casi non sono contemplate. La seconda è la circostanza in cui gli hanno sparato: quel giorno al rifugio c’erano un’ottantina di persone, fra cui tanti bambini, e l’asino si trovava lì vicino, peraltro in prossimità di un sentiero Cai. Poteva accadere una tragedia vera, quel giorno, se al posto dell’asino ci fosse stata una persona. Per questo abbiamo chiesto alla Regione di vietare la caccia nella zona vicino al rifugio: ci vorranno tutti i tempi burocratici necessari ma ci auguriamo di essere ascoltati perché il tema è molto importante".

I sospetti sulla squadra dei cinghialai che erano a Poggio di Petto quella domenica erano forti già dalle prime ore, visto che i clienti del rifugio avevano sentito uno sparo, anche se la squadra aveva negato qualsiasi esplosione di colpi. Dalla dichiarazione di uno di loro per un settimanale locale, poi, la conferma alle ipotesi dei proprietari. "Si sono tirati indietro – continua l’avvocato – sostenendo di non essere in zona e che il foro che presentava l’asino era compatibile con l’incornatura di un cervo. Ci siamo chiesti: come facevano a sapere qualcosa del foro? Era scontato che ne sapessero di più". La perizia del veterinario, poi, avvenuta pochi giorni dopo la morte di Orazio, ha fatto emergere la presenza di un proiettile, consegnato ai carabinieri di Vernio che a loro volta lo hanno girato alla Polizia Provinciale che con un lavoro certosino di indagini e balistica, condotto in questi mesi, è riuscita a determinare l’arma da cui era partito lo sparo, inchiodando il colpevole. "Vorremmo ringraziare pubblicamente il luogotenente Breschi dei Carabinieri di Vernio il comandante Pellegrini della Polizia Provinciale per le accurate indagini svolte – conclude l’avvocato dei Pieragnoli - e la veterinaria Agnese Santi che ha eseguito uno scrupoloso esame post mortem su Orazio".

Claudia Iozzelli