Cassonetti sequestrati e abiti usati buttati per strada, la rabbia della Caritas

Ottanta cassonetti ancora sotto sequestro. "Il nostro nome infangato, serve un bando"

Sacchi con gli abiti usati buttati accanto ai cassonetti

Sacchi con gli abiti usati buttati accanto ai cassonetti

Prato, 16 giugno 2019 - Il 21 maggio la Procura sequestra, a Prato e in provincia, ottanta cassonetti destinati alla raccolta degli abiti usati. Fascette bianche e rosse attorno ai contenitori. Da allora cumuli di abiti iniziano a crescere ai piedi dei cassonetti. E iniziano le proteste. Tante proteste. Tanto che oggi la Caritas è scesa sul piede di guerra: parla di danno d’immagine, è pronta ad avviare azioni legali. E poco importa che la procura abbia assicurato tempi strettissimi per chiudere l’inchiesta in modo da far tonare a disposizione dei cittadini i cassonetti sequestrati. Il reato ipotizzato è lo smaltimento illecito dei rifiuti.

Secondo l’accusa, l’azienda addetta al recupero, che ha sede nella provincia di Viterbo, avrebbe rimesso sul mercato gli abiti prelevati dai cassonetti senza effettuare le previste operazioni di igienizzazione con il chiaro obiettivo di risparmiare sui costi. Ma a poco meno di un mese dall’inizio dell’inchiesta la situazione è tutt’altro che serena.

Tutto inizia nel 2013 quando il Comune affida tramite bando, alla società Eurorecuperi, la gestione degli abiti usati raccolti nei cassonetti di Prato. Come postilla di contratto la società si impegna a versare alla Caritas una parte dei ricavi ottenuti dalla vendita degli indumenti: si tratta di 45mila euro all’anno che Eurorecuperi riconosce alla Caritas, che a sua volta li utilizza per investire nei centri di ascolto o aiutare famiglie indigenti.

Questo almeno fino al 2018. Poi il bando scade e i cassonetti per la raccolta degli abiti tornano nella disponibilità di Alia che di volta in volta, con proroghe di pochi mesi, continua ad affidare a singhiozzo il servizio alla stessa società di Viterbo. "Siamo stati disponibili a lasciare sui cassonetti il nome della Caritas, ma ora tutto questo si sta trasformando per noi in un danno di immagine. Siamo estranei all’inchiesta, al fatto che i cassonetti siano diventati in questi ultimi mesi, anche prima del sequestro, delle vere e proprie discariche", interviene con amarezza Rodolfo Giusti coordinatore dell’Emporio Caritas. Il volume d’affari di questo settore non è banale: si tratta, solo per Prato, di 800mila chili all’anno di abiti che invece di finire in discarica tornano nel ciclo produttivo.

"Le persone continuano a portare gli indumenti, ma i cassonetti sono sequestrati. Ci telefonano ogni giorno per sapere cosa devono fare. Abbiamo più volte sollecitato Alia perché provveda ad affidare il servizio ad una nuova società», continua Giusti. «Sui cassonetti così mal gestiti, con abiti che fuoriescono a causa dei ritiri mancati, i cittadini leggono il nome Caritas e per noi questo è solo un danno".

Ma non è soltanto questo il problema: con il bando scaduto è venuto meno anche l’impegno economico verso Caritas. "Quest’anno non abbiamo ricevuto i 45mila euro promessi. Sono soldi importanti che vanno ai pratesi bisognosi", conclude Giusti.