Prato 4 aprile 2014

«VORREI che la torre al vento nascesse, non per me che di opere ne ho realizzate tante, in tutto il mondo e a quest'età è giusto che mi riposi. Lo chiedo per Prato, città che amo e che tanti anni fa, alla fine di una mia mostra al Castello dell'Imperatore decise di chiedermi un'opera da installare sulla Calvana. Ma non si è trovata d'accordo per realizzarla».

Dani Karavan ha ottantatrè anni è uno dei più grandi al mondo nel campo della land art, l'arte incastonata nel paesaggio e parla con toni sereni e pacati, in perfetto italiano.

E' a Prato per visitare in anteprima il museo di Palazzo Pretorio e tornare nei luoghi dove trentasei anni fa realizzò un grande evento artistico carico di significati simbolici, vista la rivalità che ieri come oggi creava un solco fra Firenze e la nostra città. Nel 1978 insediò nel Castello dell'Imperatore e a Forte Belvedere installazioni in cemento bianco, collinette d'erba attraversate da corsi d'acqua e un raggio laser verde e azzurro a unire la fortezza rinascimentale di Firenze e col Castello medievale di Prato. Quel raggio avrebbe provocato rischi per i (pochissimi, allora) aerei che facevano scalo a Peretola e il raggio dal Belvedere raggiunse solo la Cupola del Brunelleschi mentre al Castello disegnava zig zag fra le mura di alberese.

«Quelle opere erano destinate a durare il tempo della mostra, non avevano carattere permanente. Ma piacquero e qui a Prato si formò un gruppo di "carbonari" (li chiama così ndr) decisi a dare alla città una mia opera. Il motore erano gli industriali, poi se ne interessò il sindaco Landini, un ingegnere che ha un figlio scrittore (Giannino Veronesi ndr) effettuò studi e calcoli. L'architetto Silvestro Bardazzi dette supporto al progetto. La città voleva il monumento. Poi si fermò».

Perché proprio una torre? E perché in Calvana?

«Era un omaggio alla Toscana, dove le torri segnano il paesaggio. In Calvana, perché lì sarebbe stata vista da tutti. E perché volevo fare un omaggio alla tramontana, al vento che ha contribuito alle fortune di Prato. Asciugava le stoffe appena tinte o lavate, portava via i fumi delle ciminiere. Nel '78 ce n'erano tante. Oggi quasi nessuna».

In città, il suo monumento al vento o lo si ama o lo si odia. Non esistono mezze misure.

«Non faccio mai progetti di mia iniziativa, ma solo perché qualcuno li chiede. Allora me lo chiese la città. Oggi c'è un sindaco che torna a farlo. So di forti contrarietà, ma a me mai nessuno è venuto a dire qualcosa. Anzi».

Anzi?

«Un dirigente della Sovrintendenza, Riccardo Dalla Negra, mi ha rivelato di essere stato contrario alla torre quando lavorava a Prato negli anni '80. Oggi si è dice spiaciuto che non sia sorta. E c'è di più».

Prego.

«Quando dico che a Prato gli ecologisti sono contrari al monumento al vento, in Giappone, Francia, Germania restano increduli».

La torre è alta trentasei metri, provocherebbe inquinamento luminoso e acustico traducendo in suoni e musica lo spirare del vento. E la Calvana è carsica, ha suolo friabile.

L'architetto Montanari, vicino a Karavan e ieri a Silvestro Bardazzi spiega che la torre ottenne l'ok preliminare sul piano geologico, «salvo ulteriori approfondimenti».

«La torre è alta 36 metri, cifra che ha un significato nella numerologia di tante religioni - spiega Karavan - Sarebbe una sorta di meridiana, uno gnomone come lo sono tante chiese: San Petronio a Bologna, Santa Maria Novella a Firenze, il duomo di Milano. Sarebbe investita dal sole e la notte emanerebbe luce dall'energia che ha immagazzinato. Trent'anni fa la immaginai in marmo di Carrara e serpentino verde, come le chiese toscane. Oggi sostituirei il marmo col cemento bianco e il serpentino con pannelli fotovoltaici. Che darebbero il medesimo effetto cromatico rendendola autosufficiente sul piano energetico. Non sarebbe allacciata alla rete, Se un giorno non c'è sole, la notte resta buia».

Ma romperebbe pur sempre l'armonia della collina.

«Le mie opere assecondano la natura, non la violentano. A Portbou in Spagna, progettai l'opera dedicata al filosofo Walter Benjamin in cemento. La scogliera dove sarebbe sorta "rifiutò" quel materiale e riparai sul metallo. Parlo con la natura, non vado mai contro di essa».

E il suono?

«Allora, prevedevo una torre percorsa da canne d'organo che si animavano al soffio del vento. Oggi la immagino con tanti fori e il vento che produce sibili e suoni attraversandoli».

Disturbando il sonno.

«A Cergy Pontoise la mia torre non "suona" perché vicina alle case. In Calvana, non abita nessuno».

E nessuno fruisce della torre, semmai la subisce dal basso.

«La torre sorgerebbe al centro di un basamento di 12 metri di diametro, a forma di piccolo anfiteatro dove si potrebbero tenere concerti, eventi di teatro. E ogni lato avrebbe periscopi attraverso i quali rendersi conto di ciò che si vede in quota, a dieci, venti o trentasei metri. Un gioco di lenti complesso, anzi 'omplihato, come dite voi qui a Prato (e aspira le acca ndr)».

Ma pochi andrebbero su, tutti dovrebbero fare i conti con quell'«invasione».

«Ma perchè vederla solo con occhi negativi? Chi transita dall'autosole prima di Calenzano direbbe: siamo a Prato. All'estero sono orgogliosi di opere simili. Ne ho fatta una alle porte di Tel Aviv».

Qui quasi tutti la pensano in modo opposto: una spesa inutile.

«Non so quanto potrebbe costare. Ma chi si chiede quanto costi uno spettacolo teatrale?. E siete mai stati a Poggio Castiglioni? Oggi c'è un una giungla di antenne spuntate in maniera selvaggia. Pensavo di riunirle dentro la torre, ma non è possibile tecnicamente. E domando: meglio tutte quelle antenne disordinate oppure una torre dedicata al vento, che renderebbe Prato famosa in tutto il mondo?».

Piero Ceccatelli