Capalle (Firenze), 17 aprile 2012  — VIVISEZIONE di un’azienda storica, di una griffe conosciutissima, di un «piccolo colosso» del distretto tessile pratese. La Sasch viende venduta pezzo per pezzo per recuperare liquidità da immettere nella procedura fallimentare e tamponare un’emorragia che segna la cifra astronomica di 98 milioni di euro alla voce passivo. Il primo round venerdì scorso con undici veicoli battuti all’asta, ma il passaggio più spettacolare è quello che inizia domani nello spaccio aziendale di via Einstein 26 a Capalle: la grande svendita al dettaglio dei capi di abbigliamento. Fra gli scaffali, i residui del tempo che fu: un manifesto promozionale con il volto di Giorgio Panariello, grande amico del sindaco Roberto Cenni, un cartello con scritto «Miss Italia 2010», casse piene di cataloghi impolverati con le foto (molto belle) di Alessandro Moggi per la collezione autunno-inverno 2011, parrucche di manichini, grucce e scatoloni.
 

 

TRECENTOMILA capi sono stati selezionati come la merce migliore a disposizione: si tratta di vestiti, maglieria, camicie, giubbotti, piumini, borse, trolley, magliette, accessori (dagli anelli agli orologi, dagli ombrelli alle cinture) che sono rientrati dai negozi Sasch sparsi per tutta Italia o mai usciti dal magazzino. Ma ci sono altri capi (in tutto si sfiora il milione di pezzi) pronti per rifornire gli scaffali via via che si svuoteranno. Capi griffati Sasch o Monteverdi, delle collezioni 2011 o 2010, qualcosa anche precedente.
 

 

Lo spaccio è stato preparato dall’Isveg, l’Istituto vendite giudiziarie, che ha riattivato le casse, preparato i camerini per la prova degli abiti e allestito gli scaffali. Domani alle 10 aprirà i battenti: resterà aperto dalle 10 alle 18, con orario continuato, tutti i giorni dal martedì al sabato. «Almeno fino all’estate — dice Sergio Scano, direttore dell’Isveg di Prato, presente ieri nei locali della Sasch insieme al collega di Pistoia, Paolo Graziani, e all’amministratore dell’Isveg Pietro De Bernardi — e ci aspettiamo un afflusso pazzesco, soprattutto all’inizio. Si potrà pagare in contanti o con il bancomat, senza limiti di quantità». Insomma, si potrà andare a comprare una sola camicia oppure un camion di articoli. Nessun problema.
 

 

I prezzi sono stracciati: al massimo si spendono 15 euro per giacche e piumini, capi prezzati anche cento euro. E ancora: dieci euro per trolley, maglieria, gonne e pantaloni, cinque euro per abiti da donna, borse, camicie (due euro se della linea basic) e magliette, un euro per gli accessori, dagli orologi alle cinture.
 

 

PER QUELLA merce c’erano diverse offerte di stockisti, pronti a comprare tutto in blocco: «Ma l’offerta — dice Scano — era in media di 70-80 centesimi a pezzo (a conti fatti, circa 800mila euro per tutto il magazzino). Ma economicamente non era conveniente. Così, invece, vendendo al dettaglio, ci aspettiamo un grande afflusso. Poi, una volta finita la vendita al dettaglio, la rimanenza può sempre essere venduta a stock. Ma al dettaglio la media è di quattro-cinque euro a pezzo». Quindi, se anche venissero venduti «solo» quei 300mila capi, a occhio e croce si arriverebbe al milione e mezzo. E resterebbero altri 600mila capi da vendere.
FA UNA CERTA impressione, l’ingresso della Sasch. Alla porta un cartello firmato dai curatori (ma con ancora il nome di Evaristo Ricci) che chiede di girare la corrispondenza al fermo posta di Campi Bisenzio. Da domani quei locali si rianimeranno per qualche mese. Poi stop, la saracinesca si abbasserà. Sottotitolo: così muore un’azienda.

 

di LUCA BOLDRINI