Prato, 2 febbraio 2011 - «CERCHIAMO di dare una mano a questa macchina della giustizia che è lenta, per velocizzarla po’». Julian Mecaj, 35enne albanese, da questa “macchina della giustizia” è stato condannato a sette anni e 8 mesi per reati di droga e adesso lavora per aiutarla e “velocizzarla”. Non è un paradosso, ma è l’aspetto simbolico particolarmente significativo del progetto (unico in Italia nel suo genere) di inclusione sociale, aggiornamento professionale e orientamento al lavoro organizzato dal carcere di Prato e finanziato dalla Provincia che coinvolge detenuti della Dogaia in un lavoro di riordino dell’archivio del tribunale di Firenze che dal 1987 si trova in un capannone alle spalle dell’Unione industriale. «Vedere queste persone all’opera — spiega la vicepresidente e assessore al lavoro e alla formazione della Provincia, Ambra Giorgi — mi conferma sulla giustezza della scelta fatta, perché il lavoro è il primo strumento di inclusione sociale. Questo vale per tutti e ancor di più per chi per anni ha vissuto nell’area dell’esclusione».

 

I DETENUTI che fanno parte del progetto prima hanno svolto un’attività solo di riordino di parte dei 30 chilometri di sviluppo lineare degli scaffali all’interno dei 5mila metri quadri del capannone (dal gennaio al novembre 2010, con un finanziamento della Regione) poi, da dicembre hanno cominciato un’attività formativa “sul campo” studiando come effettuare registrazione e archiviazione di documenti. Sono detenuti ammessi al lavoro esterno che cinque giorni su sette (dal lunedì al venerdì) escono dal carcere e vanno a frequentare questo stage sull’archiviazione occupandosi anche di riordinare fascicoli e faldoni. Il tutto per un rimborso spese di 400 euro al mese per sei mesi.

 

«A noi fa piacere poter aiutare queste persone — dice Salvatore Palazzo, ex presidente del tribunale di Prato e adesso vicepresidente vicario del tribunale di Firenze — e al tempo stesso svolgono un lavoro importante per lo Stato». Attualmente i detenuti coinvolti sono sette, ma via via che escono dal carcere vengono sostituiti da altri, così da quando è cominciato il progetto sono circa una quindicina i detenuti che hanno preso parte al progetto. Si tratta di persone con vari tipi di pene: da chi ha pochi anni a chi ha l’ergastolo. E i risultati si vedono: «Rispetto ad altre esperienze di reinserimento sociale e lavorativo — dice Pasquale Scala, responsabile dell’area educativa della Dogaia — questa mi pare coinvolga di più i detenuti, li faccia sentire di più parte della società anche per il fatto di lavorare per lo Stato».

 

«È un’iniziativa innovativa in Italia — spiega il direttore del carcere pratese, Vincenzo Tedeschi — un modo importante per favorire il recupero e la rieducazione dei detenuti, ma anche per dare loro una formazione professionale e una qualifica che, una volta usciti possa essere utile per trovare lavoro».
Ovviamente, all’esterno, non è così facile trovare lavoro per chi esce dal carcere. «È vero — spiega Andrea Braschi, presidente di Astirforma, l’agenzia formativa che si occupa dello stage — ma è anche vero che esistono cooperative sociali che si occupano di questo e che la qualifica che ottengono qui di potrà aiutarli concretamente una volta fuori». I progetti di socializzazione e di reinserimento messi in cantiere sono diversi: «Il 28 febbraio porteremo un gruppo di detenuti a Firenze a vedere gli Uffizi — spiega Tedeschi — poi siamo stati invitati a partecipare, con alcuni detenuti, a maggio alle letture dantesche nelle vie e piazze fiorentine». Riguardo alla polemica sul perché l’iniziativa partita dal carcere pratese riguardi l’archivio del tribunale di Firenze e non di quello di Prato, Tedeschi assicura che «si tratta di un progetto pilota che vorremmo estendere e siamo più che disponibili a farlo con il tribunale pratese».