Prato, 20 gennaio 2010 - Stavolta hanno fatto sul serio. Oltre cento agenti, fra polizia, carabinieri, guardia di finanza e vigili urbani sono arrivati ieri mattina nel cuore della Chinatown pratese e hanno compiuto un vero e proprio blitz anti illegalità. Mentre la gente italiana applaudiva dai terrazzi, i militari sono penetrati dentro decine di aziende artigianali orientali. I numeri finali sono impressionanti: 28 laboratori e 550 macchinari sequestrati; 65 clandestini fermati e 7 persone arrestate per inottemperanza a precedenti provvedimenti di espulsione; un imprenditore cinese arrestato per sfruttamento di manodopera clandestina e 198 cittadini cinesi costretti a lasciare le loro abitazioni fatiscenti. La più grande operazione anti clandestinità mai operata fin qui in Toscana. Il blitz, come detto, è scattato ieri mattina, poco dopo le 9, mentre la Chinatown pratese brulicava di vita come sempre. «Già da Natale avevamo concordato con la Questura un’operazione del genere — spiega Aldo Milone, assessore alla sicurezza — solo che servivano militari di rinforzo». Appena il ministro Maroni ha dato il via libera, l’operazione è scattata.
 

I militari sono arrivati senza preavviso e in pochi attimi hanno bloccato via Rossini, nel cuore del quartiere cinese. Mentre dall’alto un elicottero controllava la zona, le forze dell’ordine hanno sbarrato gli ingressi alla strada. Per alcune ore, nessuno è potuto entrare o uscire. Un assedio in piena regola in uno dei settori industriali di Chinatown.

 

Via rossini è una delle vie del vecchio Macrolotto zero. Qui, negli anni ’60, si costruirono le fortune industriali di Prato. Fabbriche in mezzo alle case a dare lavoro e ricchezza ai pratesi. Poi, negli anni ’80, con la prima crisi del tessile, le fabbriche di via Rossini andarono in difficoltà. Qualcuna chiuse, qualche altra si trasferì fuori città. Nei capannoni obsoleti della zona trovò facile ospitalità la prima ondata di immigrazione cinese. Locali a basso costo dove iniziare una produzione di bassa qualità, in un clima di sostanziale illegalità. «Ricordo ancora — racconta uno degli abitanti, Riccardo Baldanzi — era il luglio del 1987 quando presentammo il primo esposto in Comune: “Si sta creando una situazione insostenibile”. L’allora sindaco Claudio Martini mi guardò negli occhi: “Stai tranquillo, Riccardo, è tutto sotto controllo”». Non fosse uno scempio sociale, ci sarebbe da sorridere.
 

No, in questi anni niente nella zona è stato sotto controllo. E ciò che i militari si sono trovati ieri mattina davanti agli occhi, ha dell’incredibile. Negli stanzoni che ospitarono tre vecchie fabbriche (la rifinizione Balli, il lanificio Ciottoli e la tintoria Galliano) la comunità cinese aveva realizzato una specie di città-laboratorio dove si lavorava, si mangiava e si dormiva in una promiscuità medievale. Macchinari sotto ogni standard di sicurezza e, accanto a questi, divisi solo da sottili pareti di compensato, decine di mini stanze dormitorio (i “cubicoli”, come li chiamano) in cui gli operai cinesi vivevano senza nessun criterio di igiene. Gli operai e i loro figli: intere famiglie stipate in queste celle in cui si mischiavano prodotti tessili, sporcizia e carne di animale stesa a seccare al sole. «Una situazione drammatica — spiega l’assessore Milone — Il blitz di stamani è comunque la dimostrazione che, se c’è la volontà, anche un’amministrazione comunale può fare qualcosa per il rispetto della legalità. Credo che qualcuno dei precedenti amministratori, invece che istituire un assessorato al perdono, avrebbe fatto meglio a chiedere perdono alla città».
 

Ma il blitz non ha avuto solo consensi. Marco Wong, rappresentante della comunità cinese in Italia ha infatti avuto parole dure contro l’operazione: «Mi chiedo se abbia senso spendere centinaia di euro per far volare degli elicotteri alla ricerca di clandestini. Gli stessi soldi usati per azioni di repressione potrebbero essere utilizzati per altri fini». E perplesso è apparso anche il candidato governatore del Pd, Enrico Rossi: «Spero che questa iniziativa non sia solo una-tantum spettacolare, un blitz che lascia il tempo che trova».
 

L’operazione anti clandestini a Prato, comunque, non sembra fermarsi qui. Le aziende cinesi messe sotto sequestro, infatti, pagavano regolarmente il canone di affito ai proprietari degli stabilimenti. «Ogni mese, quasi tutti attraverso un bonifico bancario, versavano dai 1.500 ai 2.500 euro», raccontano gli agenti. L’intenzione è di verificare se per gli stessi proprietari possa scattare una denuncia per concorso in abuso edilizio. Nel caso, la partita che si aprirebbe è dirompente.