Tentato omicidio del rivale, il caso finisce in appello

Il duello legale davanti ai giudici di secondo grado dopo la condanna a 9 anni e 4 mesi a carico di un lavoratore autonomo di 40 anni

I carabinieri hanno indagato sul caso del tentato omicidio avvenuto nel comprensorio

I carabinieri hanno indagato sul caso del tentato omicidio avvenuto nel comprensorio

Pontedera, 21 settembre 2022 - Tentato omicidio, porto abusivo d’arma, incendio doloso dell’auto della persona offesa. Il caso arriverà nei prossimi giorni davanti alla corte d’appello di Firenze. Con un obiettivo primario, per la difesa, si apprende: offrire ai giudici una diversa lettura degli elementi probatori che sono stati oggetto del giudizio di primo grado, con rito abbreviato, allo stato degli atti. E ottenere, almeno, una mitigazione della pena. Nove anni e 4 mesi è infatti la condanna con cui il 40enne residente nel Comprensorio, lavoratore autonomo, arriverà davanti ai giudici di secondo grado difeso dall’avvocato Masetti di Firenze. Secondo la ricostruzione degli inquirenti - le indagini furono coordinate dal sostituto procuratore della Repubblica di Pisa Lydia Pagnini - il 40enne (che si trova tutt’ora in custodia cautelare in regime di arresti domiciliari fuori Toscana) avrebbe, alla fine, anche appiccato il fuoco alla vettura della vittima dopo averle sparato: i colpi per fortuna non andarono a segno.

L’uomo , secondo il copione accusatorio che ha portato alla prima condanna, avrebbe tentato di colpire, sparandogli, quello che riteneva all’epoca l’amante della moglie. Geloso, lo avrebbe affrontato di persona. Un incontro-scontro, avvenuto quando l’imputato chiamò l’altro, il presunto rivale, dopo essersi procurato un’arma. Dopo una colluttazione – venne ricostruito dalle indagini dei carabinieri – sarebbero stati esplosi tre colpi, appunto, non andati a segno, sia per il momento molto concitato, sia perché l’imputato non aveva dimestichezza con le pistole; tra l’altro, l’arma non sarebbe mai stata trovata. Solo nei giorni successivi, poi, si sarebbe accanito, sempre per vendicarsi – è ancora questo il copione accusatorio – di quello che riteneva un tradimento, anche contro l’auto della vittima, dandola alle fiamme.

Furono i carabinieri del nucleo investigativo a chiudere le indagini che portarono all’arresto. A incastrare l’imputato, oltre alle dichiarazioni della persona offesa, gli accertamenti balistici sul luogo dove sarebbe avvenuta l’aggressione e le traiettorie degli spari, anche le circostanze in cui nacque l’assalto. Indizi di colpevolezza considerati gravi che portarono all’arresto e che si sono poi trasformati in un capo d’imputazione. Già in primo grado la difesa aveva offerto un’altra narrazione della storia al giudice per l’udienza preliminare davanti al quale si tenne il processo "lampo". Lette le motivazioni è stato fatto ricorso in corte d’appello. Il processo è stato già fissato.