Uccise ambulante, condannato a trent'anni di carcere

Pontedera, omicidio di Idy Diene: la corte d'appello inasprisce la pena al timografo Roberto Pirrone

Un momento della commemorazione di Idy Diene

Un momento della commemorazione di Idy Diene

Pontedera, 12 settembre 2019 - In primo grado, con il rito abbreviato, il 7 gennaio scorso era stato condannato a 16 anni. Ma ieri la corte d’appello di Firenze ha riconosciuto l’aggravante dei futili motivi nei confronti dell’imputato, presente in aula, e alla fine gli ha inflitto 30 anni di carcere. La mattina del 5 marzo del 2018, Roberto Pirrone, 65 anni, tipografo fiorentino in pensione oberato dai debiti, uscì di casa armato di pistola con l’intenzione di suicidarsi.

Ma giunto sul ponte Vespucci, cambiò idea e non sparò contro di sè, ma verso a Idy Diene, un venditore senegalese di Pontedera che si trovò a transitare su quello stesso ponte. Anche lo psichiatra nominato dal giudice, per il primo grado, stabilì che Pirrone era capace di intendere e volere.

Lui, appunto sempre presente alle udienze, aveva sempre detto di non ricordare cosa gli sia passato in testa in quei momenti. Le telecamere, però ripresero la scena: Pirrone, prima di far fuoco più volte contro Diene (tre i colpi andati a segno, altri andati a vuoto), era riuscito a schivare, o aveva schivato altre persone.

Circostanza che fece insorgere la comunità senegalese, convinta che il gesto di Pirrone assomigliasse troppo a quello dell’estremista di destra Gianluca Casseri, che il 13 dicembre del 2011 aveva ucciso due senegalesi al mercato di piazza Dalmazia, per poi togliersi la vita. Un altro dettaglio incredibile lega Idy a quella storia tragica: Diene aveva sposato la vedova di uno dei due connazionali uccisi.

Pirrone, quella mattina, sparò con una Beretta regolarmente detenuta. Fu una pattuglia dell’esercito, formata da personale del 186/o reggimento paracadutisti Folgore e impiegata nell’operazione «Strade sicure» a Firenze, a fermare l’uomo poi portato in questura dalla polizia per l’omicidio.  Alcuni giorni dopo l’uccisione del venditore senegalese, a Firenze in 10mila marciarono pacificamente in corteo sui lungarni e nel centro per dire «no al razzismo».

Tuttavia né l’inchiesta della procura di Firenze né la sentenza ravvisano l’aggravante dell’odio razziale alla base del gesto dell’ex tipografo. Il primo grado di giudizio, tuttavia, non aveva soddisfatto del tutto la comunità senegalese. «Sedici anni mi sembrano molto, molto pochi», aveva detto Pape Diaw, storico rappresentante della comunità, dopo il pronunciamento del gup. Il secondo grado ha quasi raddoppiato quella pena.