Omicidio di Querce, il marito condannato a 30 anni

La corte di Cassazione conferma il delitto a carico di Giacomo Benvenuti

Marinella Bertozzi

Marinella Bertozzi

Santa Croce (Pisa), 13 giugno 2018 - Un omicida, Giacomo Benvenuti. L’ha certificato ieri la Corte di Cassazione confermando in pieno l’esito del processo d’appello sul delitto di Querce: 30 anni di reclusione per l’imputato che uccise la moglie Marinella Bertozzi, 50 anni, sanminiatese, con una scarica di botte che si rivelò fatale per lo shock emorragico dovuto a lesioni addominali che avevano interessato vari organi. Benvenuti, 42 anni, operaio conciario di Santa Croce, si trova ai domiciliari con braccialetto elettronico e per lui, nelle prossime ore, si potrebbero già aprire le porte di una cella. La sentenza che manda definitiva la penale responsabilità e la relativa pena è arrivata ieri a tarda sera dopo la discussione del processo davanti gli ermellini.

Il giudice del primo grado, Paola Belsito di Firenze, aveva condannato l’uomo, in abbreviato, a 18 anni di carcere riqualificando il reato in morte come conseguenza di maltrattamenti. Fu in appello che era tornata a vivere l’accusa di omicidio volontario aggravato formulata dal pm Sandro Cutrignielli che al primo processo aveva chiesto l’ergastolo e l’isolamento. «Marinella ha avuto finalmente giustizia, definitivamente e per sempre, e per il suo assassino resta il carcere», dice commosso Roberto Bertozzi, il fratello della vittima pochi minuti dopo la telefonata dei suoi legali, gli avvocato Ciardelli e Tognocchi di Viareggio. Fu il fratello con la denuncia contro ignoti a far scattare le indagini dei carabinieri che in poche settimane fecero luce su quello che era successo il 30 ottobre del 2014 nella villetta di Querce dove i due erano andati a vivere dopo le nozze.

Gli accertamenti medico legali evidenziarono la presenza sul corpo della vittima di numerose e gravi lesioni causate con colpi inferti a mani nude e con un corpo dalle punte stondate. Fu un’azione devastante e "non è possibile ritenere che l’imputato – aveva scritto la Corte d’appello nelle motivazioni – abbia inteso soltanto percuotere la vittima".

Il difensore dell’imputato, l’avvocato Stefani di Firenze, era tornato a chiedere un nuovo processo che potesse valutare prove per assolvere Benvenuti con formula dubitativa e, in caso di colpa, il riconoscimento dell’omicidio preterintenzionale. La morte, all’inizio, era stata classificata come “naturale”, e a chiamare il 118 era stato lo stesso Benvenuti. "Aveva tutto l’interesse – scrissero i giudici – a dimostrare che la moglie era morta per cause naturali: se così fosse stato ne sarebbe diventato l’erede". Intercettazioni e indagini l’hanno inchiodato.