"Non chiudete le indagini su Federico"

Una prima indagine archiviata. Una seconda ancora aperta e che rischia di fare la stessa fine. Anche Lidia Speri (nella foto) è una mamma in trincea, che non molla, e che vuol sapere cos’è successo realmente sulle sponde del Tevere nella notte tra il 6 e il 7 luglio 2015. Una notte caldissima quando Federico Carnicci – 27 anni, operaio di Santa Croce, che stava facendo un’esperienza di vita di strada con un gruppo di punkkabestia – sparisce nel nulla. Saranno i compagni di quell’avventura, il mattino dopo, a fare la denuncia di scomparsa. La famiglia si precipita nella capitale. Cerca Federico ovunque. Ma sarà proprio il Tevere, dieci giorni dopo, a restituirne il cadavere. Come c’è finito? "Qualcosa quella notte è successo – dice la donna –. Federico non si è suicidato. L’autopsia, l’unica fatta e che secondo noi ha tante lacune, ha rilevato che non aveva assunto droga e che non c’era acqua nei polmoni". "Io da molto tempo ho chiesto la riesumazione della salma di mio figlio del quale, ricordo, ci giunse voce che era nel Tevere quando ancora il fiume non l’aveva restituito – aggiunge la mamma di Federico –. Volevamo e vogliamo una seconda autopsia che ci è stata negata. Sono convinta che il corpo potrebbe ancora raccontarci molto: quando è stato ripescato aveva uno strano segno sulla coscia e ancora due dita sotto le quali cercare, perchè no, tracce di altro Dna. Non ho mai accusato nessuno, ma sulla fine di Federico la vera storia deve essere ancora scritta". L’inchiesta ancora aperta è per omissione di soccorso (senza indagati). I familiari di Carnicci sono assistiti dall’avvocato Carmine De Pietro che ha portato il caso ad una prima valutazione della criminologa Roberta Bruzzone.

C. B.