La Rotta, il paese di fornaci e di mattonai

L’epica di un luogo in cui acqua, terra e fuoco si sono sempre incontrati: sudore e fatica che “chiedeva” sacrifici anche ai fanciulli

Il rapporto tra uomo e lavoro è un tema affascinante, ma diventa quasi mitico quando tante persone, nello stesso luogo praticano la stessa abilità e quello spazio, infine, si identifica con una professione. Molte città e borghi sono legati in maniera indissulubile all’esercizio di un mestiere o si caratterizzano per la ricchezza di una materia prima. Ecco, La Rotta è tutto questo. Scrive Nicola Micieli: "Che il suo nome derivi da un ‘dirottamento’ d’Arno, dico del suo corso, o da una sua ‘rottura’ d’argine come credibilmente attestano gli storici; oppure che in quell’ansa di fiume sia andato in ‘rotta’ uno degli eserciti contendenti, forse pisano, forse fiorentino come vuole una vulgata, La Rotta prende comunque il proprio nome da un evento traumatico, protagonisti l’Arno, l’acqua, la motiglia delle alluvioni destinanta a divenire argilla e incrociarsi con il fuoco. Con l’argilla depositata dal fiume, formata e cotta nelle fornaci costruite in loco (…) si sono difatti identificaqte per secoli l’economia e la stessa vita comunitaria dei Rottigiani".

Qui acqua, terra e fuoco si sono sempre incontrate. L’origine di questa lavorazione si perde nella notte dei tempi, come si legge nelle fiabe più belle. L’amico Giuseppe Caciagli racconta di una fornace negli anni 1645-46, ma sicuramente occorre andare molto più indietro nel tempo se di questa attività si sono trovate tracce risalenti al secolo XI. Il celebre Repetti nel 1841 narra che: "le sabbie argillose calcaree, che a guisa di melletta continuamente vanno depositando le acque dell’Arno, e quelle di altri influenti nel territorio comunitativo di Pontedera, forniscono materiali di lavoro alle molte fornaci di mattoni ed embrici esistenti lungo la ripa sinistra di quel fiume e massimamente nel paese della Rotta, dove attualmente si contano non meno di 14 fornaci di mattoni e di altre terrecotte che danno occasione di lavoro a 300 fornaciaj e a 225 vetturali, tagliaboschi ed altri operanti".

La Rotta "è conosciuta per le sue fornaci di eccellenti mattoni che si conducono per acqua a Livorno, ove si imbarcano anche per lontani paesi" (come riportato dal Nuovo Dizionario Universale edito a Venezia nel 1854). La Rotta, suo malgrado, fu coinvolta anche nell’importante dibattito sul tracciato che la ferrovia Leopolda tra la capitale Firenze e Livorno dovesse adottare. Per fortuna dei rottagiani vinse quello che passava su questa sponda dell’Arno così La Rotta ebbe la sua stazione. (La sezione della ferrovia Leopolda fra Pontedera ed Empoli venne inaugurata nel 1847). Dal marciapiede di quella stazione partiranno in tanti, perchè la manodopera non poteva essere assorbita tutta localmente per andare a “fare i mattoni” ovunque, specialmente in Piemonte e in Francia. La professione richiedeva sudore e fatica e “chiedeva” sacrifici anche ai fanciulli seppur i mattonai hanno sempre lottato per migliorare il salario e le proprie condizioni di lavoro sia a La Rotta sia dove emigravano per continuare a svolgere le loro competenze. Nel 1861 nel territorio pontederese operavano 67 fornaciai (tutti uomini) e dieci anni dopo, 350 (il 78,6% uomini). Nel 1872 Francesco Capecchi impiantò a La Rotta la prima fornace a fuoco continuo (detta Hoffman dal nome del suo inventore) che rappresentò una vera e propria rivoluzione in questo settore. Il carattere stagionale del lavoro costringeva i rottigiani a sviluppare altre attività per sbarcare il lunario e ai lavori agricoli di “bracciantato” spesso si affiancavano quelli di “ambulantato” spostandosi in ogni dove. Questo insieme alle “emigrazioni” ha contribuito a creare una lingua che ha impastato vocaboli locali con altri provenienti da tanti luoghi. Carattere e parlata unici per gente unica.

Michele Quirici