Ergastolano svanito nel nulla, c’è una traccia

Il mistero sull’omicida evaso dal carcere due anni e mezzo fa si infittisce: spunta un profilo Facebook con foto poi abbandonato

Ismail Kammoun

Ismail Kammoun

Volterra, 22 novembre 2019 - Inattivo, presumibilmente abbandonato. Quando, di preciso? Non è dato sapere. Eppure nel 2017, l’anno della latitanza, Ismail Kammoun (il tunisino recluso al Maschio, condannato ad un fine-pena-mai per essersi sporcato le mani con la mafia e diventato un’ombra imprendibile dopo la clamorosa fuga durante un permesso premio) non pareva troneggiare sui social. Ma il profilo Facebook c’è, eccome: due sole foto (datate 2016), nove i contatti. Ma nessuna finestra capace di spalancare la luce in un baratro cementificato da 16 mesi. Insomma, Kammoun adesso pare scomparso per sempre anche nella memoria assoluta dei server. Le foto lo immortalano in due momenti, su un treno e in un porticciolo. Curioso che il cognome sul profilo Facebook sia stato vergato invertendo due vocali.

È impossibile chiudere questo cerchio maledetto, ma possiamo provare ad incamminarci lungo due sentieri ipotetici, eliminando con «tagli di lama» le vie più complicate. Kammoun nasce nel ’62 nelle isole Kerkennah, di fronte alla città di Sfax, in Tunisia.

I pochi contatti social del profilo del latitante (non sappiamo quando l’ergastolano abbia disattivato i radar della rete) si concentrano su Sfax. La fuga (pacificamente premeditata, anche se avvantaggiata da una clamorosa svista nelle stanze di un commissariato livornese) era tutt’altro che frutto di un colpo di testa, lampato in un istante. Chi ha aiutato Kammoun a scappare, a rendersi un fantasma e, chissà, forse a lasciare il Paese per andare a rintanarsi a Sfax o dintorni? Chi sono i misteriosi complici? Galantuomini con cui l’ergastolano aveva trafficato in passato? Alla fine la fuga all’estero, in quei lidi rassicuranti dell’infanzia, potrebbe essere un’ipotesi tutt’altro che campata in aria.

Ma c’è un altro dato da cristallizzare, perché atti processuali alla mano, Cosa Nostra aveva messo una taglia sulla testa di Kammoun: il tunisino aveva «pestato i piedi» a più di un capoclan, tanto che la Cupola voleva farlo fuori. Fu il pentito Salvatore Grigoli, ex macellaio del crimine, braccio armato (e insanguinato) dei potenti boss Graviano, a rivelare la condanna a morte nei confronti di Kammoun, reo di aver violato gli schemi dei clan malavitosi. Uno sgarro mai perdonato, e le sentenze di morte mafiose non cadono in prescrizione. Quindi: qualcuno ha regolato il conto in sospeso dopo anni? Ipotesi non così favoleggiante. Nei mesi successivi la fuga si era aperta una pista in Sicilia, che però non aveva portato riscontri oggettivi. La vita di Kammoun è impigliata in un cono d’ombra fitto di misteri: il vuoto è l’unica forma granitica che possiamo dare ad un fantasma inafferrabile. © RIPRODUZIONE RISERVATA