«Cartella clinica incompleta». Paziente muore, l’ospedale risarcisce

La famiglia ottiene assegno da 370mila euro. Odissea giuridica

Un intervento chirurgico in una foto d’archivio

Un intervento chirurgico in una foto d’archivio

Casciana Terme, 20 maggio 2018 - La sentenza di primo grado è arrivata dopo 15 anni. Poi avrebbe dovuto seguire l’appello, che forse sarebbe stato un altro crocevia di carteggi, ma che è stato scongiurato da un accordo transattivo tra le parti di 370 mila euro con rinuncia a proseguire nel giudizio. Questa è la storia della morte di un giovane padre avvenuta in un’Italia dove nei portafogli circolavano le ultime lire. Una morte che seguì di pochi giorni un intervento chirurgico.

L’uomo, originario del Comune di Casciana Terme Lari, si sottopose il 20 novembre 2012 ad una vascolarizzazione miocardia a cuore battente a seguito di un’angina da sforzo. Il 27 novembre, l’uomo, poco più che quarantenne, venne dimesso e trasferito a Volterra per la riabilitazione. La tragedia era alle porte. Il 28 novembre durante gli esercizi fisici, il paziente venne colpito da arresto cardiaco e morì nonostante i tentativi di rianimazione. L’autopsia rilevò deiscenza dell’anastomosi: la riapertura spontanea di una ferita precedentemente suturata. Secondo il consulente dei familiari della vittima – assistiti dall’avvocato Massimo Parenti di Pontedera - la causa del decesso altro non fu che la riapertura della sutura fatta durante l’intervento chirurgico e che ne dimostrerebbe l’imperizia nell’esecuzione. Inizia il duello in sede civile. Si costituiscono l’ente ospedaliero pisano ed i sanitari citati in giudizio per contestare le argomentazioni difensive rilevando, in particolare, che l’autopsia aveva evidenziato che la lacerazione si trovava nel contesto del tessuto sano e che solo una sforzo traumatico notevole poteva averla causata: sarebbe accaduto durante le manovre di rianimazione. Rimandando però la causa dell’evento morte o ad una malattia cronica oppure a disturbi del ritmo, o ad intossicazione farmacologica.

A questo punto il duello è tra perizie che interesseranno una lunghissima istruttoria che lo stesso giudice civile di Pisa richiama in sentenza. Tuttavia - si legge - «l’incompletezza della cartella clinica, che l’azienda sanitaria ascrive alla circostanza che si trattava di intervento routinario, nonchè la carente relazione autoptica, hanno determinato la nomina di ben tre collegi per tentare di accertare le cause del decesso». Ma, Cassazione alla mano, il giudice sottolinea un passaggio chiave: «la responsabilità per l’incompleta compilazione della cartella clinica (che se completa di descrizione avrebbe consentito di discernere tra errore medico e complicanza incolpevole) ricade in via esclusiva su coloro che l’hanno predisposta - o che avevano l’obbligo di farlo - così che non posso invocare proprio quella incompletezza quale elemento dimostrativo della carenza di prova riguardo la sussistenza di circostanze rilevanti sulle responsabilità del fatto». «E non possono invocarla, soprattutto, per l’esclusione del nesso causale tra condotta concretamente attuata e le lesioni riportate dalle persone offese quando risulti provata la idoneità di tale condotta a provocarle». Ancora un passaggio, con richiamo alla Suprema Corte, spiega la decisione del giudice: «in tutti quei casi in cui è impossibile individuare con certezza la causa, come pure quelli in cui è solo dubbia, la responsabilità non potrà che ricadere sul medico-ospedale che non ha adempiuto ai propri oneri probatori in ordine alla sua adeguata diligenza». Il primo grado ha accolto le pretese di moglie e figlio riconoscendo 540mila euro di risarcimento. L’accordo che è seguito, abbattendo l’iniziale cifra, ha scongiurato un altro lunghissimo processo.