Santa Croce, banca condannata a risarcire cliente per i bond argentini

La corte d'appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado: l'istituto dovrà sborsare oltre 260mila euro

L'avvocato Foggia

L'avvocato Foggia

Santa Croce sull'arno, 10 settembre 2016 - Questa è la storia di un maxi risarcimento per i bond argentini a favore di cittadino di Santa Croce. La corte d’appello di Firenze ha confermato la condanna in primo grado a carico della banca per la mancata informativa sui reali rischi dell’investimento finanziario in obbligazioni argentine e Cirio. Si tratta di «gravi inadempimenti agli obblighi di condotta prescritti dalla normativa in materia di intermediazione finanziaria e dalla buona fede sulle operazioni di investimento in obbligazioni Argentina e Cirio». Siamo nel Comprensorio del Cuoio ed è stato un risparmiatore – un noto imprenditore – a portare avanti con determinazione la battaglia contro la banca che – già secondo i primi giudici – «non aveva fornito la prova di aver assolto l’obbligo di adeguata informazione sul rischio finanziario». Ora, anche secondo i giudici di secondo grado, il cliente dovrà essere rimborsato di 261 mila 948,88 euro, oltre rinfondere le spese di lite e di giudizio. Il cliente è stato assistito dagli avvocati Roberto Polloni, Vittorio Bovini e Alberto Foggia.  Già il tribunale di Pisa aveva evidenziato che la banca in questione, all’epoca degli investimenti, «era perfettamente a conoscenza del fatto che i titoli erano molto redditizi in quanto decisamente rischiosi», come dichiarato dal teste alle dipendenze dell’istituto bancario e che allora aveva mansioni di funzionaria. Così com’era a conoscenza del «rischio di default dello Stato argentino e del gruppo Cirio – si legge nelle carte – e che il cliente pur avendo negoziato, prima dei fatti in causa, titoli di Paesi ad alto rischio (come Russia e Brasile) al momento del suo primo acquisto di bond Argentina, risultava avere un patrimonio investito quasi esclusivamente in titoli di Stato e cioè in obbligazioni bancarie a basso rischio». La corte d’appello, nella lunga argomentazione delle motivazioni, rileva anche che, nel caso, la banca ha soltanto provato di aver reso noto all’investitore «titolo di non facile liquidabilità» e cioè una segnalazione di inadeguatezza dell’operazione del tutto generica «in quanto non contenente nessuna indicazione circa le eventuali avvertenze che il cliente avrebbe ricevuto dalla banca, in ordine alla natura del titolo, al suo emittente, al rating nel periodo ed alla sussistenza di eventuali situazioni di grey market o di default dell’emittente». Alla banca non resta che «tentare» la Cassazione.