Pontedera, 20 dicembre 2011 - HA ANCORA tatuato il simbolo dell’Insomnia sulla spalla sinistra. Sì perché lui è stato uno tra i più assidui frequentatori di quella che fu ribattezzata la “discoacropoli d’Italia”, la nota discoteca delle Melorie, a Ponsacco, in provincia di Pisa, super in voga dalla fine degli anni ’80 fino a tutti gli anni ’90. E purtroppo protagonista sulle cronache per drammatici episodi legati al consumo di droghe anche pesanti. Ecco, tra i più fedeli appassionati del “viaggio psichedelico”, consumatore e venditore dello sballo, c’era anche lui, Roberto Dichiera, di Tavolaia, Santa Maria a Monte, classe ’74, ex parrucchiere per donna. Oggi sacerdote a Roma. Ma andiamo per gradi.


Don Roberto, davvero è stato anche uno spacciatore?

«Sì, ma dammi del tu. Prima di diventare spacciatore ho provato tutte le droghe che c’erano in giro, ma proprio tutte, esclusa l’eroina. La droga la vendevo sia in discoteca che fuori. Nei week-end prendevo il treno e facevo i miei giri nel nord Italia, a Torino, Bologna, Verona, Genova, Riccione».

 


Perché ti drogavi?

«Per divertirmi, per evadere, il trip, ad esempio, era la droga di cui facevo più uso in assoluto perché mi piaceva viaggiare con la mente. Ricordo che una volta ne ho venduto uno a una ragazza di Pontedera, eravamo proprio all’Insomnia. Si sentì male fino al punto che rischiò la vita. La portammo all’ospedale dove rimase ricoverata tre giorni. Nonostante questo episodio continuai a fare la mia vita di sempre».

 


Poi cosa è successo?

«Un giorno ero sul treno, Firenze-Bologna, tornavo in caserma perché in quel periodo ero militare. Nelllo scompatrimento incontrai una ragazza, parlammo, ci scambiammo i numeri di telefono e da lì ci iniziammo a vedere. Poi c’innamorammo. Siamo stati insieme due anni».

 


L’incontro con questa ragazza ti ha cambiato la vita?

«Sì, indubbiamente. Lei era credente e frequentava la chiesa, così capitava anche a me, sporadicamente, di andare alla messa. Dopo ben nove anni mi sono di nuovo confessato e ho fatto la comunione».
 

 

Nel frattempo facevi ancora uso di sostanze?

«Sì, anche se è stato in quel contesto che inziai a maturare il proposito di smettere. Per amore della mia fidanzata. Ma non era facile, per niente. Poi un giorno trovai in casa il Vangelo e... ecco, quello è stato il vero viaggio che ha cambiato radicalmente la mia vita».
 

 

C’è una frase che ti colpì in modo particolare?

«Sì, quando Gesù si rivolge ai discepoli e dice: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”».

 


E’ quello che sei oggi...

«Io amo definirmi “sacerdote di strada”, sono tanti i giovani intrappolati nel falso mito del divertimento sintetico, che però hanno bisogno di essere capiti, ascoltati, amati. Non giudicati. Ecco, li vedo quando mi avvicino a loro e racconto la mia storia, loro si aprono, mi ascoltano. Qualcuno cambia vita, per altri è più dura, si sa. Sabato siamo andati in un centro sociale qui a Roma e siamo rimasti lì fino alle cinque del mattino. Vedere questi ragazzi che si buttano via così è per me un grande dolore. Ma il compito mio, adesso, è quello di portare un raggio di speranza. Quello stesso raggio che anni fa, durante il mio primo viaggio a Medjugorje, ha illuminato il mio cuore, la mia vita. Lì, sul monte delle apparizioni, ho sentito, inequivocabile, la chiamata. Da allora, lasciai la mia fidanzata per un amore più grande, l’amore di Dio e quindi l’amore per tutte le persone più bisognose».