Mercoledì 24 Aprile 2024

Ballottaggi, Salvini e Meloni provano a fare muro. Ma la resa dei conti è già cominciata

I due leader minimizzano la sconfitta, accusando il clima politico ostile. Nei prossimi giorni un vertice di coalizione

Giorgia Meloni (ImagoE)

Giorgia Meloni (ImagoE)

Non sarà facile digerire la sconfitta, anche se il tentativo di queste ore è di sminuirla il più possibile. Nessuna grande città conquistata, ballottaggi che sono andati molto peggio del previsto, gli unici territori "di peso" presi sono quelli dove erano stati candidati esponenti di Forza Italia e, comunque, moderati. Peggio di così per Salvini e Meloni non poteva andare. La prima difesa è stata quella di negare l’evidenza. "È una sconfitta, bisogna ammetterlo ma parlare di débâcle è eccessivo". La leader di Fd’I derubrica la Caporetto a una scaramuccia persa. Matteo va oltre: prova quasi a camuffare la rotta da mezza vittoria: "Se la matematica non è un’opinione abbiamo guadagniamo due sindaci". Michetti travolto a Roma e lasciato solo di fronte alle telecamere ad ammettere la sconfitta, la sicurissima Trieste combattuta fino all’ultimo voto, persino casematte come Latina per Fd’I e Varese per la Lega sono restate al centrosinistra: cos’altro ci voglia per parlare di mazzata non si capisce.

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I due leader però insistono nel fare finta di niente. Nessun errore nella scelta dei candidati, è mancato solo il tempo perché sconosciuti provenienti dalla società civile si imponessero. Sul perché quei candidati siano stati scelti con tanto ritardo scena muta da parte di entrambi. Giorgia trova modo di lanciare una frecciatina avvelenata contro il compagno di batosta: "ll danno è stato soprattutto al ballottaggio, per forza i tre partiti hanno posizioni diverse: se una parte del centrodestra governa con il centrosinistra, gli elettori sono disorientati". Altrettanto fa Salvini: "Sarebbe stato meglio vincere a Roma". E giù con una valanga di altri alibi, la campagna di criminalizzazione "che ha imbarbarito tutto" (Giorgia), le accuse di fascismo "che oramai sta solo sui libri di storia" (Salvini). Tutto vero, almeno in parte, ma tutto anche insufficiente a spiegare la rotta. Quando si arriva al punto dolente, la feroce competizione interna che ha costretto la coalizione a puntare, tardi, su candidati debolissimi. Uno glissa, l’altra nega. "Leggo tutte le mattine di questo derby ma è forzato. Con Salvini ci scriviamo spesso per commentare questa cosa surreale".

Più precisa l’analisi di Berlusconi: "Manca il nocchiero, il federatore. Il leghista e Giorgia hanno dimostrato di non essere in grado di ricoprire quel ruolo", ragiona con i fedelissimi. La diagnosi è giusta: la soluzione suggerita dagli spalti di Forza Italia, però, appare lontana anni luce: "Dovrebbe pensarci Silvio, il federatore per eccellenza". Più fantascienza che fantapolitica.

I tre alleati si vedranno già nei prossimi giorni: ieri si sono sentiti al telefono, domani il Cavaliere dovrebbe arrivare nella Capitale. Giurano tutti che i prossimi candidati saranno scelti tempestivamente: probabilmente sarà cosi. Ma senza cambiare il metodo e diventare una vera coalizione sarà di scarsa utilità.

Non è solo la destra tutta che sembra non aver capito la severa lezione delle urne, neppure la Lega in sé modificherà l’ambiguità che l’ha caratterizzata negli ultimi mesi. Giurare fedeltà al governo e allo stesso tempo proferire minacce da leader dell’opposizione, poi puntualmente rimangiate. Non che nel Carroccio quell’ambiguità piaccia a qualcuno: approccio troppo governista per alcuni (veloci a rimarcare come l’ala moderata che fa capo a Giancarlo Giorgetti non si sia salvata dalla slavina, come dimostra il flop del candidato di Torino e il voto a Varese). Troppo antagonista nei confronti dell’esecutivo per altri. Ma Salvini resta intoccabile anche perché senza di lui le due anime della Lega non riuscirebbero a convivere.

Per ora, la linea del capo resta quella, come ha dimostrato ieri moltiplicando le bordate contro la ministra Lamorgese e facendo quadrato intorno a quota 100 pur sapendo che anche su quel punto Draghi sarà irremovibile. "Ci sono tutte le condizioni per prenderci la rivincita alle politiche" assicura la Meloni, che guida il principale partito della destra, avendo Fd’I superato la Lega. Sulla carta ha ragione, le sconfitte possono essere preziose perché aiutano a raddrizzare la rotta. Ma non pare proprio che sia questo il caso. Almeno fino alle elezioni del capo dello Stato, salvo improbabili sorprese, non cambierà niente. Poi si vedrà perché ora oltre quell’orizzonte nessuno a destra, ma se è per questo neanche a sinistra, ha in mente quello che succederà.