Mercoledì 24 Aprile 2024

Crisi di governo: Conte oggi al Quirinale. Cosa succede ora? Le tre strade del premier

Può andare avanti sperando di sottrarre qualche altro senatore, oppure può cercare il dialogo con FI e IV, se pure all'opposizione. Terza strada, crisi pilotata per arrivare al Conte ter

Giuseppe Conte incassa in Senato una fiducia risicata (Ansa)

Giuseppe Conte incassa in Senato una fiducia risicata (Ansa)

Roma, 20 gennaio 2021 - Conte la scampa, raccatta i voti per sopravvivere, ora deve trovarne parecchi altri per governare. I sì a Palazzo Madama sono stati 156: con i giallorossi hanno votato due forzisti – , Maria Rosaria Rossi, ex fedelissima del Cavaliere e Causin, entrambi espulsi dal partito – nonché l’ex grillino Ciampolillo e il socialista Nencini, conteggiati solo dopo la prova video perché arrivati tardi alla chiama. I no sono stati 140, 16 le astensioni dei renziani che ne perdono due per strada (Nencini e Marino, assente).

In aggiornamento: Conte al Quirinale: l'agenda del premier. Sette giorni per salvare il Governo

La fiducia incassata ieri con una maggioranza relativa gli permette di andare avanti. I precedenti ci sono, la polemica della destra sul diverso trattamento riservato a Salvini quando nel 2018 chiese l’incarico a Mattarella è destituita di fondamento. Affidare l’incarico è cosa ben diversa da una fiducia comunque confermata dal Parlamento sovrano. Nel 2010 Berlusconi restò a Palazzo Chigi con 314 voti alla Camera. Dunque senza maggioranza.

Ma questa è aritmetica. I nodi che aspettano Conte sono politici e intricati: ne è consapevole il premier che a metà pomeriggio confidava "Temo di uscirne ammaccato". A tarda sera commenta più rilassato: "Ora l’obiettivo è rendere ancora più solida questa maggioranza. L’Italia non ha un minuto da perdere".

I nodi inizierà ad affrontarli già oggi quando salirà al Colle per riferire a Mattarella. La scelta però è sua: si sa che il capo dello Stato è attentissimo al rispetto delle regole istituzionali. Con un premier dimissionario sfiduciato, la palla sarebbe passata nelle sue mani, la fiducia, pur risicata, del Parlamento la mantiene nelle mani di Conte. Il presidente potrà tutt’al più suggerire e consigliare.

Quali sono le opzioni dell’avvocato pugliese? Può provare ad andare avanti con il muro contro muro, sperando di sottrarre qualche altro senatore a FI e IV e mettere così insieme alla bell’e meglio quella nuova area politica che gli permetterebbe di parlare di allargamento della maggioranza. Percorso accidentato. Se l’operazione non riuscisse, il rischio di un compattamento delle diverse opposizioni di volta in volta sarebbe altissimo. L’altra opzione è provare a ostacolare in partenza un ricompattamento aprendo un dialogo con FI e Iv sia pure sugli spalti dell’opposizione. È l’opzione che probabilmente preferirebbe Mattarella. Dopo il voto di ieri, non sarebbe esclusa neppure una crisi pilotata per arrivare a un Conte ter: sarebbe la strada maestra per molti nel Pd ma è ancora quella che convince di meno il premier.

Non si tratta dell’unico scoglio che lo aspetta. Nella due giorni parlamentare, la fiducia c’è scappata, e del resto con l’astensione dei renziani non poteva che essere così. Ma l’operazione politica è fallita: che li si chiami responsabili, oppure volenterosi la sostanza non cambia. A confermare la fiducia sono stati senatori che rispondono solo a se stessi. È una situazione opposta a quella auspicata e anzi indicata in pubblico e in privato come decisiva dal Pd. Ora il premier ha qualche settimana per riuscire nell’impresa fallita negli ultimi giorni. Se non ci riuscirà il problema però si aprirà, destinato a crescere via via che ci avvicineremo al semestre bianco e la sicurezza per tutti di evitare le elezioni.

Ma c’è una scadenza ancora più immediata: Conte è determinato a chiudere entro gennaio la partita della verifica. Pure in quel campo il suo progetto e quello di Zingaretti divergono. Il premier – spinto anche dai 5 Stelle – vorrebbe limitare al minimo le modifiche nella squadra, cercando solo di riassegnare i posti lasciati da IV, a spacchettare alcuni sottosegretariati e se proprio necessario sostituire uno o due ministri ma senza intaccare la struttura del governo. Il Pd mira invece a un Conte ter di fatto se non di nome. È una sfida sotterranea che dura da mesi, coperta nell’ultima fase dallo scontro con Renzi ma mai risolta. Ora in un modo o nell’altro andrà invece chiusa. Coi voti che ha preso ieri Conte la affronta da una posizione di debolezza.