ArchiveMeloni, le scelte sui ministri. Pressing su Panetta al Mef. E Salvini ora vuole trattare

Meloni, le scelte sui ministri. Pressing su Panetta al Mef. E Salvini ora vuole trattare

La premier in pectore continua gli incontri riservati per formare l’esecutivo. Il leader leghista potrebbe fare un passo indietro: "Non mi impicco al Viminale". Per gli Esteri dubbi su Tajani: salgono le ipotesi di Belloni o Terzi

Giorgia Meloni, 45 anni, ieri esce dalla Camera dei deputati

Giorgia Meloni, 45 anni, ieri esce dalla Camera dei deputati

Roma, 30 settembre 2022 - "È tempo di mostrare il nostro valore. Siamo pronti a ridare futuro, visione e grandezza all’Italia". La premier in pectore non ci sta ad accreditare un’immagine che la vuole già impigliata nelle eterne diatribe di posti e poltrone, imprigionata nelle beghe dei partiti di maggioranza: "Continuo a leggere ricostruzioni irreali: vi assicuro che stiamo lavorando a una squadra di livello", twitta. E comunque, fa notare Giorgia Meloni, che al momento siamo ancora ai pour parler: le consultazioni vere cominceranno solo quando arriverà l’incarico. Tutto giusto ma resta il fatto che il valzer dei nomi continua e in fondo che non può che essere così. Perché se per alcuni ministeri si tratta davvero solo di coniugare gli appetiti delle forze di maggioranza, almeno due caselle sono molto più nevralgiche del solito. La prima è quella dell’Economia: per ogni esecutivo quel ministro è fondamentale, mai però come in questo caso. Dovrà fronteggiare subito una crisi drammatica, con rincari scioccanti e soldi per contrastarli esigui. E sarà proprio sulla base di quella scelta che Bruxelles e le principali cancellerie europee emetteranno il loro primo giudizio sul governo.

Governo Meloni, il gran valzer delle poltrone

Il nome perfetto sarebbe quello di Fabio Panetta: competente, diverso da Draghi ma non tanto da trovare dubbi sulla continuità, di granitica affidabilità per quella Bce nel cui board oggi siede. Dunque, nonostante i rifiuti già ricevuti, Giorgia insiste. E non è la sola: le pressioni sono numerose e martellanti. Un’alternativa va trovata subito, Daniele Franco si è chiamato fuori, lo spacchettamento del dicastero con Maurizio Leo alle Finanze e Domenico Siniscalco all’Economia, pare sfumare.

La seconda nota nevralgica è il ministro dell’Interno. Salvini lo vuole per sé, malgrado nel colloquio con Giorgia Meloni abbia aperto anche alla possibilità di una sorta di ministro-prestanome. A spingerlo, come ammette chiaramente nei colloqui con i collaboratori più strettin sono le cifre, non quelle dell’economia in questo caso, ma quelle degli sbarchi: 66mila a settembre. Con un’impennata del genere il Capitano è convinto che quella sia la postazione ideale per lanciarsi in quello che sa fare meglio: la campagna basata sulla protezione dei confini nazionali e la paura dell’immigrazione. Il punto però è che per l’Europa la sua nomina sarebbe un passo forse senza ritorno. E sarebbe anche particolarmente sgradita al capo dello Stato rovinando così il progetto di instaurare una cordiale collaborazione. Una bella grana che però potrebbe essere sbloccata proprio dal Capitano. Ieri sera confidava agli intimi: "Non mi impiccherò al ministero dell’Interno". Del resto nella situazione che si profila, il ministero del Lavoro, quello che avrebbe in mente per lui FdI, potrebbe essere persino più produttivo sul piano della visibilità e della propaganda.

Gli altri ostacoli sembrano ordinaria amministrazione, come la collocazione di Antonio Tajani: lì peserebbe la diffidenza di Washington nei confronti non tanto dell’uomo ma del partito azzurro considerato ancora simpatizzante con Putin. La via d’uscita ipotizzata per ora, e non è detto sia l’ultima, passa per il suo spostamento alla Difesa, e la nomina di Giulio Terzi di Sant’Agata o di Elisabetta Belloni agli Esteri. Si fa strada la possibilità di spostare l’Energia dall’Ambiente al Mise dove potrebbe andare Guido Crosetto (FdI). Per le infrastrutture gira il nome di Alessandro Cattaneo, all’Agricoltura quello di Gian Marco Centinaio, per la Cultura si propone Sgarbi, mentre Giancarlo Giorgetti si tira fuori: "Mi riposo". Ma prima del governo bisogna risolvere il rebus della presidenza delle camere. Continua a circolare l’ipotesi di darne una all’opposizione. Le voci si concentrano su Casini al Senato: il diretto interessato smentisce. Meno peregrina l’idea di una Meloni pronta a dare la Camera a Enrico Letta. Ma gli alleati hanno già risposto picche.