Crisi di governo: oggi sfida decisiva al Senato. La fiducia ci sarà ma quota 161 è lontana

Alla Camera 321 sì, superata la maggioranza assoluta. Ma se Conte avrà numeri risicati a Palazzo Madama, durerà poco

La Camera ha votato sì alla fiducia (Ansa)

La Camera ha votato sì alla fiducia (Ansa)

È solo un presagio. Però fausto. Di quelli che rinfrancano, alla vigilia della battaglia davvero decisiva. Alla Camera la fiducia passa con 321 sì – inclusi due renziani già noti e la Polverini (che lascia Forza Italia) –, 259 no, e 27 astensioni di Italia Viva. Unica sorpresa: l’assenza di Lupi (Nci). "Volevo votare no alla seconda chiama ma sono arrivato tardi". Maggioranza assoluta: non era proprio scontato.

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Conte arriva oggi con le spalle coperte da questo risultato alla prova di Palazzo Madama. Una partita da tripla, anche se si contano sulla punta delle dita quelli pronti a scommettere che possa essere sconfitto in aula grazie al voto contrario di senatori di IV. Si tratta piuttosto di vedere se riuscirà a raggiungere quota 158, oppure raccatterà una maggioranza più risicata, sotto la soglia non solo psicologica dei 154 voti.

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Pur salendo al Colle, non si dimetterà comunque; anche con una fiducia ridotta all’osso tenterà di proseguire nella speranza di riuscire domani nell’impresa che pare fallita ora: la creazione (grazie anche al progetto di una legge elettorale proporzionale) di un gruppo centrista ed europeista tanto numeroso da compensare la defezione dei renziani politicamente ben più presentabile di una ciurma di senatori che rispondono solo a se stessi.

Non a caso, il premier medita di mantenere per un po’ l’interim dell’Agricoltura, lasciandolo in caldo per l’Udc che, per il momento, ha deciso di restare a destra. Ma nei sogni della maggioranza dovrebbe essere, con gli agognati transfughi di Iv, la spina dorsale di questa roba centrista. Se stasera i voti saranno troppo scarsi, però, svanirà in parte quella speranza. Conte resterà a Palazzo Chigi, ma probabilmente per poco.

Il segretario del Pd, Zingaretti, lo fa capire: "La strada è molto più stretta di quanto si immagini in prospettiva. Non possiamo accettare tutto". Insomma, o nasce una maggioranza politica o al governo sopravvissuto oggi resterà ben poco ossigeno. Una partita che si gioca su un pugno di voti: ne basteranno 4 o 5 a fare la differenza tra una vittoria politica – pur se non aritmetica – piena, 158 voti, e una classica vittoria di Pirro. Si capisce il pressing del premier nell’intervento rivolto ai possibili nuovi acquisti, persino esplicitamente. "Aiutateci". Naturalmente il forcing è proseguito anche per vie meno plateali su Italia Viva.

Due nomi fanno sperare: Comincini e, soprattutto, Nencini. Quotazioni oscillanti per tutto il giorno: in serata erano tornate sul no. Corte serrata sui tre senatori di Cesa per conquistarne almeno una: Paola Binetti. In maggioranza giurano che non tutto è perduto, si vedrà oggi. I Cinquestelle promettono: "I ’nostri’ arriveranno dal fortino azzurro". Per ora si può solo dire che l’azzurra considerata più in bilico – Carmela Minuto – intende invece rimanere ad Arcore.

Resta la massa del gruppo misto. De Bonis vaticina quota 158, garantendo una sorpresa. Chissà se allude all’arruolamento nelle fila del sì di uno dei senatori considerati in bilico come Ciampolillo o Martelli. Acquisito l’ok di Cerno cui va aggiunto quello di Rubbia che solo ieri ha garantito la presenza. Salgono a 3 i senatori a vita che voteranno di certo per la maggioranza. Un quarto, Monti, pur non avendo ancora fatto la scelta viene già dato per acquisito. I voti per restare in sella dovrebbero esserci. L’esito della conta è destinato comunque a creare nuovi problemi in quello che, da sempre, è il vero nodo nei rapporti della maggioranza: la tensione tra Palazzo Chigi e il Pd.

Se il risultato sarà misero, Conte insisterà per andare avanti come se nulla fosse, nonostante il monito di Zingaretti. Se invece si avvicinerà alla fatidica quota 161 rivendicherà la posizione di forza e cercherà di limitare quanto più possibile il rimpasto pure promesso. Il Pd se lo aspetta, Delrio lo ha ripetuto in aula: "Il premier non deve sopravvivere ma rafforzare il governo e dargli un orizzonte solido". L’avvocato pugliese però resta fermamente convinto che la sua squadra funzioni perfettamente. Meno la si tocca, meglio è. E i grillini la pensano allo stesso modo.