Governo, trema l'operazione costruttori. Conte medita le dimissioni: Colle in ansia

La chiusura dei centristi mette a rischio la conta a Palazzo Madama. I responsabili non si trovano. Ora si pensa di ricucire con Renzi Il premier non vuole cambiare strategia: si va avanti con i voti che ci sono. Ma l’ipotesi di salire al Quirinale si fa sempre più concreta

Il governo e i numeri in Parlamento

Il governo e i numeri in Parlamento

Il dilemma si pone al premier e ai leader di maggioranza all’ora di pranzo sotto la veste di un comunicato secco dell’Udc: "Restiamo nel centrodestra". Crolla così l’illusione di mettere insieme a Palazzo Madama un drappello di “costruttori“ non solo numericamente significativo ma anche politicamente credibile. Pure le tre defezioni che si immaginavano tra le fila azzurre sono incerte, per giunta Riccardo Nencini ha deciso di restare con Renzi. Per tradurlo in cifre: i voti a favore di Conte stanno tra i 151 e i 155 (gli ex M5s De Falco e Ciampolillo si vanno ad aggiungere ai 14 esponenti del gruppo misto che già votavano la fiducia). Pochi, pochissimi. Tanto che spunta la tentazione a Palazzo Chigi di evitare il passaggio al Senato per dimettersi dopo aver incassato la fiducia alla Camera. Magari avendo sfruttato la notte per le ultime, frenetiche trattative in cerca di qualche senatore in più.

Aggiornamento / Renzi: "Non credo che Conte avrà la maggioranza in aula"

E tuttavia: anche con una simile manciata di voti il premier otterrà quasi sicuramente la fiducia a Palazzo Madama grazie all’astensione dei renziani. L’asticella troppo bassa creerebbe imbarazzo sul Colle dove l’idea di maggioranze raffazzonate non è mai piaciuta a Mattarella. "Sarebbe una vittoria di Pirro", dice l’ex presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini. Sotto i 154 forse vacillerebbero anche le certezze sbandierate ora dal Pd. È vero che, una volta ripartita la nave del governo, si potrebbero "costruire i costruttori" nelle settimane successive, non troppe però perché nel giro di un mese la partita sarebbe persa e non avrebbe senso tentare oltre. Di qui, l’insistenza sulla necessità di "una maggioranza politica", ovvero di un gruppo parlamentare che dia un mano ai giallorossi. "In aula tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità", scandiscono al Nazareno.

Le dimissioni del premier offrirebbero qualche spazio in più: nuovo governo vuole dire nuovi posti. Aggregarsi all’ultimo momento è cosa diversa dall’essere soggetto fondativo di una maggioranza. Tanto più che segnali dagli spalti dei possibili responsabili sarebbero arrivati: "Con un Conte ter se ne può riparlare". Per il Pd un nuovo esecutivo sarebbe la garanzia di ottenere quel patto di legislatura con annessa ristrutturazione della squadra che Zingaretti e Orlando reclamano ogni giorno. Il problema, come sempre, ha un nome: Matteo Renzi.

Ieri l’ex premier ha riunito i suoi esultante: "Senza di noi stanno tra 150 e 152 voti, teniamo duro". L’intenzione di rientrare in gioco è evidente. Sulla carta pare impossibile, ma una volta aperta la partita per un nuovo governo nulla si può escludere. I responsabili non si sa se arriveranno, i senatori di Iv ci sono certamente. Senza contare il lavorìo ai fianchi degli esponenti del Pd rimasti vicino al Rottamatore. "Tornare a fidarsi di Renzi? Mai dire mai in politica", afferma Marcucci.

Per i Cinquestelle come per Leu la strada è impraticabile: il patto tra Di Maio e Di Battista che ha riportato dopo mesi di guerra la pace nel Movimento si basa sulla decisione di chiudere la porte a Renzi. Dibba anzi è addirittura tentato dall’idea di entrare in un esecutivo “depurato “ dall’inquinamento renziano. Se la decisione venisse meno lo scontro divamperebbe di nuovo più acerrimo che mai. Naturalmente, gli interessi dei vertici non sono quelli della truppa parlamentare, che teme più di ogni altra cosa il rischio di elezioni anticipate. Così, ieri si è aperta qualche crepa. In forma anonima qualche parlamentare si lascia andare: "I responsabili non esistono, bisogna ricucire con Iv". Ma il parere determinante sarà quello del più diretto interessato: Giuseppe Conte. Ancora ieri sera Palazzo Chigi smentiva decisamente di voler cambiare strategia: "Si va avanti, con i voti che ci sono". Poco importa se si tratterà di un governo di minoranza, oltre tutto esigua. Ma se le cose finiranno davvero così la navigazione della barca di Conte sarà molto accidentata e probabilmente breve.