Covid, gli 'anticorpi' psicologici: "Stare nel presente, così si coltiva la resilienza"

L'emergenza sanitaria ci renderà migliori o resteremo gli stessi, soli ed egoisti? Abbiamo provato ad indagare la risposta con la psicoterapeuta Marisa Stellabotte che sul tema sta tenendo un corso alla San Giorgio

La dottoressa Marisa Stellabotte

La dottoressa Marisa Stellabotte

Pistoia, 7 maggio 2020 - Divisi tra chi pensa che l’emergenza, una volta terminata, ci renderà migliori e chi invece sostiene che torneremo ad essere quelli di sempre, incapaci di far tesoro di una lezione così preziosa. Ma la vera risposta la possono fornire solo alcune condizioni: la capacità di stare nel presente, l’essere arrivati qui e ora con un “equipaggiamento” solido e l’aver costruito relazioni vere, con gli altri e con noi stessi. A guidare nel percorso dentro sé è la dottoressa Marisa Stellabotte, psicoterapeuta e presidente dell’associazione Arcobaleno Verticale impegnata in attività di supporto e sostegno in questa fase di emergenza, titolare del corso “Resilienza. Gli anticorpi psicologici al coronavirus” organizzato dalla Biblioteca San Giorgio in modalità digitale (per iscriversi mandare una mail a [email protected]).

“Solitudine e chiusura forzata ci hanno costretti a stare in contatto ciascuno col proprio mondo interno – spiega la dottoressa -. Nel corso si parla, appunto, di resilienza: se io ho fatto un po’ di percorso e so chi sono, riuscirò a fronteggiare meglio l’emergenza. Ma oltre a un dato quindi soggettivo, riguardante la storia personale di ognuno, c’è un dato oggettivo a condizionare gli effetti della pandemia sul nostro benessere psicologico, come, ad esempio, l’aver trascorso l’isolamento in spazi domestici ristretti, quasi soffocanti. In generale possiamo dire che chi trarrà qualcosa di positivo dall’emergenza sarà colui che già prima era abituato a stare in contatto con se stesso; chi, al contrario, non ha maturato un buon rapporto con sé e con gli altri rischia di sprofondare e involversi. Quel che facciamo in questi corsi è sviluppare una narrazione diversa rispetto a quello che sarà e quello c’è stato, analizzando le relazioni costruite nel tempo e cercando di far comprendere che noi per primi possiamo far qualcosa per influenzare il nostro stare nel presente. Perché la resilienza non è un’iniezione o una pillola: la resilienza va costruita assumendo un atteggiamento che ci predisponga, vivendo giorno per giorno e agendo sul dialogo interno”.

Se una lezione resterà, dunque, sarà quella che ci dice quanto sia importante costruire rapporti positivi con gli altri: “Ci hanno insegnato ad essere forti, ad essere soli – prosegue la dottoressa -, ma la verità è che siamo esseri interdipendenti e da questa evidenza non si può prescindere”. I tanti studi in corso sugli effetti psicologici della pandemia evidenziano incrementi di stati di stress, ansia e insonnia. È così? Si può fare qualcosa per attenuarli? “Anche in questo caso dobbiamo fare una considerazione soggettiva, in relazione alla persona. Chi ha vissuto traumi pregressi è possibile che in questa situazione li veda riemergere e la sintomatologia può essere varia, comprendente anche stati di stress, ansia e insonnia. Se la persona però non è sostenuta e accompagnata il rischio del baratro è reale".

"Chiediamoci allora: cosa posso fare per non stare nell’incertezza? Agiamo sul presente, progettiamoci per il dopo Covid, in modo da stimolare attività e partecipazione. Tutti siamo in lutto, tutti viviamo un senso di perdita totale e crediamo che star male sia una condizione da rigettare perché questo la società ci ha insegnato, insieme all’immortalità. Ma ci sia di lezione un fatto: non possiamo più pensare di poter guardare solo a noi, rivolgiamoci all’altro, inteso come guida e sostegno. La mia preoccupazione è che al momento le persone stiano chiedendo aiuto troppo poco: forse i reali effetti di questa pandemia si paleseranno tra qualche mese, con un lavoro psicologico da condurre assai impegnativo”.