Il caso dei parà arrestati per concussione. Ecco come si facevano dare i soldi

"Si accontentavano di pochi spiccioli"

Controlli sulle strade

Controlli sulle strade

Pistoia, 17 novembre 2018 - «Pagaci un caffè e ti rilasciamo». Erano di questo tenore le intimidazioni che i quattro parà del battaglione «Nembo», finiti ai domiciliari per concussione, rivolgevano alle vittime per convincerli a consegnargli il denaro ed essere così liberi di andarsene. Una condotta che, secondo il gip Francesco Pallini, sarebbe stata consolidata e «non episodica e occasionale» ma «accuratamente preparata e predisposta» nel tempo. In due mesi sarebbero stati accertati otto casi dalla squadra mobile che, in borghese, ha seguito la pattuglia dei militari constatando come i quattro (Pepe, Carrabs, Dallai e Fazzi) uscissero dai luoghi convenzionali e stabiliti di pattugliamento (lasciando, tra l’altro, scoperti quelli a loro assegnati) per recarsi in zone non di loro competenza dove svolgevano controlli illegali e abusivi.

Le richieste di denaro erano pressanti e, come dice il gip, l’intimidazione era fornita dal fatto che i soldati fossero armati («le vittime venivano costrette a fermarsi e rimanevano in balia di militari armati operanti con modalità intimidatorie e minacciose», si legge nell’ordinanza). «In un caso, un cinese ha provato a opporsi sostenendo di non avere contanti con sé – hanno spiegato gli investigatori – I militari sono arrivati a strappargli il portafoglio dalle mani da cui hanno prelevato dieci euro». Si accontentavano del costo di un caffè. In un altro episodio, di fronte alle resistenze di un cinese fermato perché guidava parlando al cellulare, la pattuglia ha chiesto l’intervento dei carabinieri dopo che lo stesso orientale aveva minacciato di telefonare alle forze dell’ordine. I carabinieri sono intervenuti davvero ma solo perché contattati direttamente dai militari nel tentativo di «fornire una versione dei fatti a loro favorevole e scongiurare una possibile denuncia della vittima», osserva il gip.

«Il fenomeno potrebbe essere più vasto – ha aggiunto il pm Lorenzo Gestri – La squadra mobile ha monitorato anche le chat, come WeChat usata regolarmente dagli orientali per scambiarsi informazioni, notando come i cinesi stessi si informassero l’un l’altro sulla presenza della pattuglia al Macrolotto in modo da scegliere strade alternative e non incappare nei controlli». Una prova – per gli inquirenti – che i controlli abusivi andassero avanti da tempo prima che arrivasse la segnalazione da parte dei due italiani.

Immediata è stata la reazione dell’Esercito italiano che ha espresso «profondo sdegno e condanna» per la vicenda. «Il personale coinvolto – dicono dall’Esercito – si è macchiato, laddove le attività di indagine lo confermassero, di un comportamento inqualificabile per uomini e donne che indossano l’uniforme» e, «confermando la massima collaborazione e trasparenza con gli organi inquirenti, l’Esercito ha già avviato tutte le procedure per l’immediata sospensione dei militari dal servizio».