l ricordi e i segreti: "Burbero e sarcastico. Sapeva cosa voleva: tenere ’a casa’ le opere"

Gilberto Vannini, amico della famiglia Marini, rivela alcuni aneddoti "Una volta mi disse: “non parlarmi di Firenze, ce l’ho nera coi fiorentini. Hanno preferito un inglese a un pistoiese, a un toscano“". .

l ricordi e i segreti: "Burbero e sarcastico. Sapeva cosa voleva: tenere ’a casa’ le opere"

l ricordi e i segreti: "Burbero e sarcastico. Sapeva cosa voleva: tenere ’a casa’ le opere"

PISTOIA

Tornare al "grembo materno", nient’altro che la sua città pur in quel suo essere "piccola, semplice e forse anche un po’ rozzotta". Ma comunque tornare: "Perché i pistoiesi sanno apprezzare le cose belle e le persone che valgono, anche se non lo danno a vedere". È un inedito affresco di Marino Marini quello che emerge dagli aneddoti di chi il maestro in vita l’aveva frequentato spesso, a casa di amici comuni a Ripa di Serravezza e poi al Forte, in quella villa che Marino forse proprio per quel suo attaccamento alla città volle chiamare Villa Germinaia. Di quell’uomo "sempre critico, sarcastico, un po’ burbero ma sempre pronto alla battuta, alla grande risata" e di quei giorni splendidi a parlar di bellezza e assorbirne ogni sfumatura ricorda bene Gilberto Vannini, oggi 81enne, un pistoiese emigrato tanti anni fa a Varese. Il motivo di tante memorie che riaffiorano e l’idea di prender carta e penna e metterle per iscritto, scaturisce proprio dal recente dibattito attorno al destino di una porzione del patrimonio di Marino che ha superato anche i confini toscani.

Un’amicizia, quella tra Vannini e Marino con la sua Marina, nata nel marzo del 1966 quando il maestro fu protagonista di una mostra a Palazzo Venezia a Roma. "A quel tempo non aveva espressioni lusinghiere su Pistoia. Il suo era rancore e dispiacere per una città che secondo lui non lo aveva apprezzato – rammenta Vannini –. In quella sede insistetti molto perché tornasse a Pistoia anche con le sue opere. Guardando Marina mi disse infine: “Per ora no. Si vedrà. Forse… anche perché mi sento sempre un pistoiese e verso la mia città in fin dei conti ho degli obblighi“".

Poi ecco arrivare gli anni Settanta, ecco intensificarsi le frequentazioni ormai amichevoli nelle reciproche abitazioni, le indimenticabili conversazioni fiume su arte, viaggi, grandi personaggi conosciuti dai coniugi Marini in giro per il mondo e bellezza in genere, "di quella che solo gli artisti veri sanno trasmettere anche solo a parole". "“Gilberto“, mi disse una volta vedendomi assorto, “so che pensi che devo tornare a Pistoia. Non ti preoccupare, tornerò, anche perché non è più la solita addormentata, mi sbagliavo, lo vedo anche quando ci vengo e mi fermo a prendere un caffè al Valiani, dagli amici Arrigo e Ginevra. Pistoia si è evoluta, ne parlavo male, ma con l’ironia del pistoiese verace e rancoroso. A Pistoia voglio bene, voglio tornarci davvero, è bella, vivibile, c’è mia sorella Egle e poi ci sono nato e voglio tornare con le mie opere nel grembo materno“".

Nel conversare non mancava mai il riferimento a Firenze. Ed è nei confronti di questa che Marino sembrava inasprirsi nel giudizio. "Una volta mi disse, testuali parole, “non parlarmi di Firenze, ce l’ho nera coi fiorentini. Quei manigoldi prima di una mia hanno preferito fare una mostra del pantografaro Moore. Hanno preferito un inglese a un pistoiese, a un toscano!“. Mi dimostrò persino cosa intendeva con quel “pantografaro“ e insieme mi fece vedere le sue mani: “Queste hanno lavorato tutte le mie opere con martello e scalpello. E lui ha avuto una mostra a Firenze. Ma io tornerò a Pistoia e che i fiorentini si tengano pure il pantografaro“".

Nel 1980 la morte del maestro e l’amicizia che prosegue tra Vannini e la vedova Marina: "Amava molto Pistoia tant’è che venne ad abitare in Galleria Nazionale – ricorda Vannini –. Quando ci incontravamo a Pistoia a casa di mio fratello o da me a Varese non mancava mai di parlare della Fondazione e del Museo, ultimo grande desiderio di Marino. Era felice quando ne parlavamo. Una volta le ricordai il nostro primo incontro a Roma quando Marino non era tanto voglioso di tornare a Pistoia. Lei mi rispose dicendo che Marino poi ci ripensò e che fece bene a tornare e a regalare alla città alcune opere. Per ricordare a tutti dov’è nato, diceva. Si rabbuiava, si rattristiva e anche si arrabbiava quando parlava di una persona a lei vicina per parentela che “d’accordo con altri tristi personaggi vogliono commettere un furto e portare a Firenze le opere che Marino voleva nella sua Pistoia. Spero che le autorità cittadine, il sindaco, la Cassa di Risparmio e tutti i pistoiesi“, diceva Marina, “impediscano questo furto dal museo“. Quanta amarezza e quanta tristezza sul bel volto di Marina. Spero proprio che quelle persone alle quali pensava e chiedeva aiuto Marina, possano impedire l’insensato “furto“ come lo chiamò lei".

linda meoni