Osvaldo, cent’anni di storia. "La mia guerra in Russia"

La testimonianza di Bartolomei che sta per compiere un secolo di vita. Partì per il fronte a 19 anni. Nel 1943 fu dato per morto, ma tornò a casa

Osvaldo Bartolomei è nato a Maresca il 20 maggio del 1922

Osvaldo Bartolomei è nato a Maresca il 20 maggio del 1922

Maresca (Pistoia), 13 maggio 2022 - Cent’anni, nato il 20 maggio 1922, morto e rinato più volte, Osvaldo Bartolomei si appresta a tagliare il traguardo del secolo di vita. Partito a 19 anni, il 17 gennaio del 1942, per combattere sul fronte russo, venne assegnato al battaglione Bolzano, assieme a diversi altri marescani, divisione Val Pusteria. Faceva parte del battaglione sciatori Monte Cervino, formato da circa seicento soldati, ritenuto un battaglione d’eccellenza. Anche l’abbigliamento li distingueva, con il corpetto in pelle d’agnello e i pantaloni alla sciatora. Dopo l’addestramento partì per il fronte dove ha partecipato alla battaglia del Don.

«Noi eravamo abituati alla montagna, ma in Russia i dislivelli erano minimi, al massimo 600 metri, quando ci chiesero chi volesse partecipare al corso fui tra i prescelti, così mi sono trovato al fronte. Noi eravamo di complemento, cioè andavamo a rimpiazzare i morti e i feriti, siamo arrivati a luglio e i primi scontri ci sono stati in agosto, abbiamo passato 40 giorni in prima linea senza combattere, ma sotto i colpi dell’artiglieria. Siamo riusciti a fermare l’esercito russo. Loro aspettarono l’arrivo del freddo, previsto a ottobre, per attaccarci.

«Poi a dicembre è iniziata la ritirata, mentre loro cercavano di accerchiarci, della divisione Cuneense di 16mila ne sono tornati 1800. Combattevamo con quello che avevamo, ma era poco, quando ci hanno attaccato, i russi ci hanno buttato fuori da Rossos in 48 ore, quando sono arrivati con 20 carri armati, noi non avevamo neppure un cannone anticarro. Abbiamo combattuto nel freddo e avevamo fame, una volta siamo andati in campagna a cercare polli, riuscimmo a prenderne tre, li portammo ai cucinieri dopo averli fatti spennare a una donna incontrata per caso.

«Nonostante la guerra, la popolazione non è mai stata aggressiva nei nostri confronti, nè noi nei loro. Noi del primo plotone siamo stati quelli che hanno avuto il maggior numero di perdite, ricordo tra gli ufficiali, il capitano Lamberti che ha fatto l’impossibile per salvare il maggior numero di soldati.

«Un giorno ero in ginocchio, stavo sparando con il moschetto, ho sparato fino a che non si è rotto il percussore e, a quel punto ero senza arma, ebbi l’impressione di ricevere una spinta: dietro di me a 4 o 5 metri c’era il caporale, la pallottola che era destinata a me uccise lui.

"Un giorno dovevo essere di guardia davanti alla scuola dove avevamo base, io avevo la febbre e fui dispensato. Una macchina saltò su una mina, che era stata piazzata proprio lì davanti, morirono entrambi i soldati di guardia, anche quella volta ho avuto fortuna".

Dopo la ritirata del gennaio 1943, alla famiglia fu comunicata la morte di Osvaldo, informazione, come dimostra la storia, fortunatamente sbagliata. A oggi, molti dei suoi commilitoni sono stati decorati, il commento del reduce è in linea con il personaggio: "Medaglie a me non ne hanno date, io ho riportato la pelle a casa e quella è la medaglia più bella".

Andrea Nannini